giovedì 30 dicembre 2010

Le scorie? Problema risolvibile

Molti dei cittadini che hanno scritto criticando la campagna pubblicitaria del Forum indicano le scorie nucleari come una delle ragioni principali della loro opposizione al nucleare. Essi affermano che le scorie sono sostanze estremamente pericolose, destinate a restare tali per molti secoli. Aggiungono che non possiamo lasciare questa eredità alle future generazioni.

Quello delle scorie non è certo un tema da prendere alla leggera. Anzi, si tratta di un argomento caldo di cui si discute in tutto il mondo. Ma riteniamo che l’esperienza di questi ultimi decenni abbia dimostrato che il problema può essere affrontato in modo efficiente e sicuro. Per diverse ragioni.

Fino a oggi, dopo oltre 50 anni di esperienza in molte centinaia di centrali nucleari, le scorie non hanno mai causato un solo incidente di rilievo, al contrario di quello che accade con molti rifiuti speciali, che sono in quantità estremamente maggiore e non sono regolati da norme altrettanto rigide e sperimentate.

La quasi totalità dei rifiuti radioattivi generati dalle centrali sono paragonabili a quelli prodotti nei reparti ospedalieri, sia per pericolosità sia per quantità. Si tratta di diverse decine di migliaia di metri cubi di sostanze che avrebbero bisogno di un deposito nazionale definitivo che in Italia si fa fatica a localizzare. È un problema che prima o poi andrà risolto, almeno che non si voglia che i rifiuti ospedalieri vengano stoccati nei sottoscala dei reparti di radiologia.

La quantità di scorie nucleari ad alta attività è minima: da nove a quindici metri cubi all’anno per ognuna delle centrali di ultima generazione che dovrebbero essere costruite in Italia. Per fare un paragone, ogni anno l’industria italiana produce 10 milioni di tonnellate di rifiuti speciali altamente pericolosi, spesso a vita molto lunga (una quantità 10 mila volte maggiore rispetto a quella prodotta da otto grandi reattori nucleari). Ma in nessun settore industriale esiste la cultura della sicurezza e del controllo che si è sviluppata nel nucleare in decenni di ricerca internazionale.

Per le scorie nucleari sono possibili diverse soluzioni a lungo termine. In Finlandia e Svezia è stata scelta la soluzione del deposito geologico: le barre di combustibile vengono riposte in appositi contenitori di rame spessi 5 centimetri, progettati per durare almeno 100 anni anche se immersi in acqua. In altri paesi (Francia, Giappone, Gran Bretagna, Svizzera, Belgio, Cina) è stata scelta la via del “riprocessamento”, cioè la separazione chimica degli elementi contenuti nei combustibile esausto. Negli Stati Uniti un Rapporto del Mit di Boston suggerisce di allungare la soluzione temporanea (stoccaggio in superficie) perché le scorie potrebbero tra qualche decennio costituire una riserva di combustibile di valore inestimabile recuperando l’energia ancora non sfruttata al loro interno (oltre il 99,3%).

Da Newclear

martedì 28 dicembre 2010

Il nucleare, "tema" scientifico del 2010

Anche nel 2010 l'energia nucleare è presente fra gli eventi scientifici dell'anno, soprattutto per due aspetti: da un lato come un mezzo per contrastare i cambiamenti climatici; dall'altro per la ricerca nel settore della scienza dei materiali, che si dimostra sempre di più lo strumento cruciale per le innovazioni tecnologiche in tutti i campi.

Per esempio la rivista americana Discover, classificando i 100 eventi scientifici del 2010, mette al venticinquesimo posto l'impegno del segretario all'energia americano Steven Chu, che si è adoperato per combattere il riscaldamento globale. Chu, premio Nobel per la fisica nel 1997, era stato nominato segretario per l'energia dal presidente Barack Obama, e si era subito distinto dai suoi predecessori repubblicani per un forte impegno in favore delle energie rinnovabili e per la partecipazione degli Stati Uniti agli accordi internazionali per ridurre le emissioni di gas serra. In questo impegno, il presidente Obama e il segretario Chu hanno segnato il 2010 anche per quanto riguarda l'energia nucleare.

La rivista Cosmos, invece, sceglie la ricerca, e premia fra le 10 innovazioni dell'anno i progressi ottenuti al National Ignition Facility di Livermore (California) per dimostrare la fattibilità della fusione nucleare.

Anche i centri di ricerca hanno stilato le proprie classifiche. Il Los Alamos National Laboratory (LANL) americano ha inserito una pietra miliare della ricerca nucleare nella lista delle 10 innovazioni scientifiche più importanti ottenute dai propri ricercatori: un nuovo materiale particolarmente resistente agli ambienti radioattivi, e che potrà dunque essere usato per le prossime centrali nucleari. I ricercatori del LANL sono riusciti a realizzare questa sostanza grazie alle nanotecnologie: costruendolo strato dopo strato, a livello di pochi atomi per volta, sono riusciti a ottenere doti di resistenza molto superiori rispetto allo stesso materiale realizzato con le tecniche tradizionali. È legata a questa scoperta un'altra innovazione importante compiuta dal LANL nel 2010: una sostanza in grado di autoripararsi, a sua volta promettente per la costruzione di reattori nucleari.

Da NuclearNews

lunedì 27 dicembre 2010

Tutta la verità sul referendum del 1987

Da quasi una settimana circola sulle nostre tv lo spot del Forum Nucleare Italiano. Puntualmente si sono scatenate in rete le voci di dissenso degli antinuclearisti: la maggior parte di essi ha “ripescato” il referendum dell’ ’87, con cui l’Italia abbandonò il programma nucleare, accusando il Governo di tradire con il ritorno all’atomo la volontà popolare espressa più di vent’anni fa.

Ebbene, proprio il presidente del Forum Chicco Testa ha deciso, attraverso il suo blog, di fare chiarezza. Il referendum non ha cancellato il nucleare, per quattro precise ragioni: innanzitutto l’esito della consultazione ha risentito non poco dell’onda emotiva dell’incidente di Chernobyl (causato da un errore umano e non da un malfunzionamento del reattore, ricordiamolo).

Nel giro di vent’anni, poi, il contesto è fortemente cambiato: allora non esisteva l’emergenza del cambiamento climatico, o comunque non era ancora così avvertita come oggi. E in questi anni studi e ricerche hanno dimostrato che il nucleare è di gran lunga più sicuro e meno inquinante dei combustibili fossili.
Infine, volendo essere precisi, i tre quesiti referendari non riguardavano la chiusura delle centrali (decisione presa dalla politica), ma l’abrogazione di altrettante norme secondarie: un comma che attribuiva al Cipe poteri per la localizzazione delle centrali nucleari, un secondo comma sull’erogazione di fondi per le aree dove sarebbero state installate le centrali nucleari e una norma che consentiva all’Enel di partecipare ad accordi internazionali per la costruzione e la gestione di centrali nucleari all’estero. Ma la realtà dei fatti ha sconfessato anche queste tre decisioni: il potere sostitutivo del Cipe ancora esiste, l’erogazione dei contributi ai territori che ospitano impianti termoelettrici è proseguita nonostante l’esito referendario. E il divieto per l’Enel di assumere partecipazioni all’estero nel settore nucleare è decaduto con la privatizzazione dell’azienda.

Il famigerato referendum, insomma, non ha in concreto messo la parola fine allo sviluppo del nucleare, che nel frattempo è andato avanti. E oggi la nostra dipendenza energetica e l’emergenza ambientale dimostrano come l’atomo sia più che mai indispensabile.

giovedì 23 dicembre 2010

È arrivato il momento... degli Auguri!!!!


Tanti auguri a tutti!!

Il cammino del nucleare si avvicina al traguardo

La fine dell’anno è spesso un’occasione per fare bilanci, anche in campo energetico. Il 2010 è stato segnato dal dibattito sul ritorno del nucleare in Italia, già avviato con la cosiddetta “legge sviluppo” del 2009. Un articolo de l’Occidentale, pubblicato qualche giorno fa, sintetizza efficacemente il nostro cammino verso il nucleare.

Le ultime tappe significative sono state lo spot del Forum Nucleare Italiano, che ha scatenato le (prevedibili) polemiche del mondo ambientalista. Gli antinuclearisti si sono appellati a presunte violazioni della par condicio, mettendo in dubbio un’importante occasione di confronto: “Oggi che per la prima volta si invita l’opinione pubblica a partecipare al dibattito in materia nucleare, si chiede l’interruzione dello spot e nuove regole – si legge nell’articolo”.

L’approvazione del Cipe della delibera che stabilisce le tipologie di impianto di produzione di energia nucleare, avvenuta la scorsa settimana, dovrebbe fortunatamente accelerare il ritorno all’atomo. Manca solo il parere (non vincolante) della Conferenza unificata e delle commissioni parlamentari. Il Cipe punta tutto sulla sicurezza degli impianti: se il provvedimento non subirà modifiche di alcun tipo, saranno realizzati in Italia solo strutture che rispettino standard in termini di efficienza e sicurezza più elevati rispetto a quelle attualmente funzionanti. Nello specifico, via libera solo alle centrali di terza generazione: i reattori installabili in Italia sono al momento gli EPR (European Pressurized Reactor), gli AP1000 (Advanced Passive) di Westinghouse/Toshiba, gli ABWR (Advanced Bowling Water Reactor) e gli ESBWR (Economic Simplified Bowling Water Reactor) della General Electric. Su tutti, in vantaggio ci sono gli EPR, che “hanno costi per unità di potenza installata inferiori del 10% rispetto ai reattori di seconda generazione. Trovano un impiego più flessibile, potendo quindi adattarsi più facilmente alla variabilità della domanda. Hanno, infine, un maggior rendimento (37% contro i 30-33% dei reattori di seconda generazione)”.

Le premesse per un “lieto fine” ci sono tutte. Non ci resta che aspettare il 2011.

martedì 21 dicembre 2010

Nucleare e rinnovabili non sono soluzioni alternative

Nella giornata di oggi saranno consegnate alla Camera le firme per la proposta di legge “Sviluppo dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili per la salvaguardia del clima”. Iniziativa che ha riscosso molte adesioni : il comitato “sì alle energie rinnovabili, no al nucleare”, che se ne è fatto promotore, parla di oltre 50mila firme. Tuttavia, proprio oggi leggevo un intervento del presidente Alfiero Grandi, di cui mi hanno particolarmente colpito alcuni punti.

Grandi afferma che “proporre un’alternativa al nucleare, fondata sul pieno e ordinato sviluppo delle energie rinnovabili viene avvertita come una scelta giusta, necessaria per affrontare la situazione preoccupante del clima ma anche come nucleo di un diverso sviluppo economico, di una politica di nuova e qualificata occupazione”. Innanzitutto ancora una volta si parla delle rinnovabili come un’alternativa al nucleare e non come un’opzione da affiancare tranquillamente all’atomo. Quella delle rinnovabili è sicuramente una “scelta giusta e necessaria”, ma non sufficiente. Da tempo è in atto un dibattito, su cui in questi giorni si è soffermato anche Chicco Testa, presidente del Forum Nucleare Italiano: Testa ha parlato di “limiti strutturali” di fonti come l’eolico e il solare, che dipendono dalle condizioni climatiche. È inevitabile, quindi, che le rinnovabili non siano in grado di garantire quella continuità di cui abbiamo bisogno. Ben venga, quindi, anche il nucleare.

I sostenitori dell’energia alternativa sono convinti, però, che fotovoltaico e simili siano l’unica soluzione per il Paese:“Non ci sono soldi per investire su tutto – continua Grandi. Il nucleare è alternativo alle rinnovabili e chi insiste per questa avventura pericolosa per l’ambiente e la salute dovrebbe anche chiarire come recuperare la differenza di posti di lavoro, visto che il nucleare bene che vada a parità di risultato vale non più del 10 per cento dell’occupazione creata dalle energie rinnovabili”. Sorvolando sui calcoli che hanno portato a questa cifra, colgo ancora una volta l’occasione per ricordare che le emissioni di CO2 del nucleare non sono più rilevanti di quelle delle rinnovabili e che le scorie, prodotte in quantità ridotta grazie alle nuove tecnologie e stoccate in depositi sicuri, non sono pericolose per la nostra salute. A questo punto credo che Grandi dovrebbe rivedere almeno la sua ultima affermazione.

lunedì 20 dicembre 2010

“Nucleare, e voi che posizione avete?”



Un uomo gioca a scacchi con un avversario che si rivela essere se stesso. Nel frattempo i due giocatori si scambiano opinioni opposte sul nucleare. Questo è lo spot televisivo del Forum Nucleare Italiano, in onda da ieri sulle reti principali.
Lo spot riesce in un obiettivo importante: mostrare in maniera sintetica i principali pro e i contro dell’energia atomica (resi efficacemente dall’opposizione nero-bianco della scacchiera), senza arrivare a una conclusione, ma invitando lo spettatore al dibattito. Il giocatore di scacchi parla della questione del fabbisogno energetico (“sono favorevole: anche i miei figli avranno bisogno di energia e tra 50 anni non potranno contare solo sui combustibili fossili”) , di quella ambientale (“i residui stoccati sono sotto controllo mentre la CO2 prodotta da combustibili fossili è incontrollabile”), delle opportunità per il Paese (“Il nucleare è una mossa azzardata per il Paese…o forse è una grande mossa”).

Alla fine una domanda: “E tu sei a favore o contro l’energia nucleare? O per caso non hai una posizione?”, con l’inquadratura che si allarga ad altre persone che giocano a scacchi con altrettanti “se stessi”. Un modo per sollecitare tutti al confronto su un tema fondamentale per il nostro futuro. Un confronto interrotto più di vent’anni fa.

venerdì 17 dicembre 2010

Gli incidenti nucleari sono tutti uguali?

Quando si tratta di definire con esattezza che cosa sia un incidente nucleare, c’è molta confusione tra la gente. Gli incidenti nucleari sono tutti uguali? Sono tutti una fotocopia del disastro di Chernobyl?

Possiamo chiarirci un po’ le idee grazie alla scala INESInternational Nuclear and Radiological Event Scale, che stabilisce sette livelli di gravità in cui rientra qualsiasi tipo di evento nucleare che comporti un danno a persone, cose o all’ambiente. Sono infatti tre le possibili aree di impatto di un incidente: persone e ambiente, ovvero la dose di radiazioni che coinvolgono i civili e il territorio al di fuori di una centrale; barriere radiologiche e sistemi di controllo, cioè la radioattività liberata e i danni provocati all’interno dell’impianto; difesa-in-profondità, intesa come l’insieme dei sistemi di sicurezza predisposti per evitare incidenti.

I livelli da 1 a 3 della scala sono classificati come guasti: la loro principale caratteristica è il danneggiamento più o meno grave degli impianti, senza effetti diretti sulla popolazione o sull’ambiente esterno. Al livello 3, un evento implica la contaminazione in dosi superiori al massimo consentito di persone che si trovano all’interno dell’area, senza conseguenze letali.

Dal livello 4 al livello 7 si parla invece di incidenti, con impatto più o meno esteso all’esterno della centrale. Il livello 4 comporta almeno una morte accertata a causa delle radiazioni, e una contaminazione di lieve entità a livello locale. Salendo sino al livello 7, quello del disastro di Chernobyl, i danni a persone e ambiente diventano sempre più gravi ed estesi.

A che cosa serve la scala INES? A creare consapevolezza ed informazione. Proprio come la scala Mercalli o la scala Richter per la classificazione dei terremoti: se non ci fossero, sarebbe molto difficile rendersi conto dell’entità di un evento, delle sue conseguenze e delle misure preventive – o correttive – da adottare.

Sviluppata nel 1990 dall’agenzia IAEA (International Atomic Energy Agency) insieme alla NEA (Nuclear Energy Agenc), è il modello di riferimento mondiale per gli eventi nucleari. La IAEA si assume la responsabilità di offrire una comunicazione officiale dettagliata di tutti gli eventi nucleari, in modo da evitare confusione, fraintendimenti o speculazioni mediatiche. A tal scopo è disponibile il Nuclear Event Web-based Sytem, che raccoglie tutte le informazioni su qualsiasi guasto o incidente.

Data la sua estrema importanza, la scala INES è costantemente revisionata, e nel 2008 vi è stata apportata una modifica fondamentale: la scala non riguarda più solo gli eventi verificatisi in una centrale, ma qualsiasi ambito in cui sia impiegata l’energia nucleare, anche nel campo della medicina. Ancora di più: la scala INES si applica anche in caso di evento accaduto non solo durante la produzione di energia atomica, ma anche durante le operazioni di trasporto, immagazzinamento o uso del combustibile nucleare.


Da Energia libera

giovedì 16 dicembre 2010

Marcegaglia: “Non sono più ammissibili ritardi sul nucleare”

Bisogna accelerare sul nucleare perché “il nostro è un Paese che non può più permettersi bizantinismi e ritardi”. Ad affermarlo è il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, nell’ambito del “Supply Chain Day”, organizzato ieri a Roma da Confindustria ed Enel. Sulla stessa linea anche il ministro dello Sviluppo Economico Paolo Romani, che annunciato il completamento dell’Agenzia per la sicurezza nucleare e l’amministratore delegato di Enel Fulvio Conti, che ha auspicato che questi passi “siano fatti nel più breve tempo possibile” per “recuperare il danno subito dal nostro Paese”.

Con la conferma del Governo, il ritorno all’atomo è ormai una realtà, fortemente sostenuta dal mondo imprenditoriale per una serie di ragioni. Innanzitutto perché, come ha spiegato la Marcegaglia, “l’Italia è l’unica nazione nell’ambito del G8 senza reattori operativi sul proprio territorio. Un recentissimo studio dell’Osservatorio sui costi del non fare ha quantificato in 45 miliardi di euro il costo dell’abbandono di questa tecnologia tra il 1987 e il 2009”.

Per colmare questo ritardo molte aziende hanno già manifestato il proprio interesse verso il nucleare: “Oggi – ha continuato la Marcegaglia – possiamo dire che le imprese italiane ci sono, sono pronte. Ora il testimone passa a loro, alle aziende, agli investitori e alla politica. È il momento di tornare a parlare di politica industriale, di investimenti, di scelte di lungo termine, in una parola del futuro del Paese”. Al momento si parla di un indotto industriale di oltre 550 aziende di diverse regioni italiane, dalla Lombardia alla Campania, fino all’Abruzzo.

Si spera, quindi, che l’Agenzia si insedi al più presto, per poter finalmente sfruttare questa grande opportunità di sviluppo per tutto il Paese.

mercoledì 15 dicembre 2010

A Roma si parla di nucleare

Nonostante i ritardi accumulati dal mondo politico e le forti opposizioni da parte delle amministrazioni locali, il programma nucleare italiano andrà avanti. Anzi: è più in forma che mai. Ne sono convinti gli industriali del settore, riuniti a Roma per una giornata di studio organizzata il 14 dicembre dall'Associazione Italiana Nucleare (AIN).

È stato molto chiaro Francesco De Falco, amministratore delegato di Sviluppo Nucleare Italia, la joint venture creata da Enel e Edf proprio per il programma nucleare italiano: «Ci crediamo ancora al nostro progetto di iniziare i lavori nel 2013 e mettere in funzione il primo impianto nucleare nel 2020». Anche per quanto riguarda i ritardi, De Falco è fiducioso: «A livello industriale siamo riusciti a riassorbirli». È importante però che in futuro questi intoppi non si ripetano, altrimenti «un impatto negativo ci sarà sul progetto».

È ottimista, nonostante qualche preoccupazione, anche Sara Romano, direttore generale per energia nucleare, energie rinnovabili ed efficienza energetica del Ministero dello sviluppo economico: «Il processo è più solido rispetto a due anni fa». Sara Romano ha poi sottolineato l'importanza di una strategia di lungo termine: «Ritengo che le strategie di lungo termine debbano prescindere dai possibili avvicendamenti al governo: nessuno può prevedere cosa succederà tra 60 anni, ma il nucleare va visto come una scelta politica, che mira a diversificare il mix energetico nazionale».

È d'accordo il presidente dell'AIN, Enzo Gatta: «Malgrado tutto io resto cautamente ottimista perché comunque la Legge Sviluppo ha ottenuto il via libera del Parlamento e mi auguro che questo conferisca al rilancio del nucleare un carattere di irreversibilità».

Secondo Renato Angelo Ricci, presidente onorario dell'AIN, l'ottimismo della volontà dev'essere una spinta all'azione: «Vediamo ancora il rischio di un "pessimismo di ritorno" e guai a tornare indietro: perché se perdiamo il treno questa volta non ripasserà».

Da Nuclear News

martedì 14 dicembre 2010

Nucleare made in Italy: il 70% delle forniture delle nuove centrali arriverà dalla Lombardia

Le centrali nucleari italiane parleranno lombardo. Secondo uno studio di Euroimpresa, l’Agenzia di sviluppo territoriale che promuove il Distretto dell’energia dell’Alto milanese, le industrie della Lombardia forniranno circa il 70% di ogni nuovo impianto realizzato nel nostro Paese. Se, dunque, il progetto sarà d’importazione francese o americana, le forniture quasi completamente made in Italy. In particolare, dei 3,8 miliardi previsti per un reattore da 1600 MW, come l’EPR francese, 2,64 miliardi andranno alle imprese nostrane. La parte più consistente arriverà dalle opere civili (isola nucleare e convenzionale e fonti di raffreddamento), per un totale di 800 milioni di euro, e dalle forniture termomeccaniche (ad esempio generatori di vapore, semilavorati e componenti meccaniche dell’isola nucleare) per 750 milioni.

Un ottimo affare per le nostre aziende, in gran parte già attive nel nucleare:molte di esse, infatti, stanno partecipando alla realizzazione delle centrali EPR a Flamanville (Francia) e Mohovce (Slovacchia). Questo significa che l’Italia è già presente nel business nucleare estero.

Il ritorno all'atomo dell’Italia, quindi, rappresenterebbe un’occasione imperdibile per la crescita della nostra industria. Ne è convinto anche Giovanni Minelli, technical supervisor di Euroimpresa: “Chi oggi lavora nel nucleare deve poter vantare una struttura ben organizzata, perché significa lavorare esclusivamente con l’estero. Produrre una centrale in Italia sarebbe un’occasione per allargare il mercato interno e un’ottima referenza per andare sui mercati stranieri”. A trarne vantaggio sarebbe anche l’occupazione: nuove centrali equivalgono a nuove forniture e, quindi, nuovo lavoro.

lunedì 13 dicembre 2010

Mark Lynas: gli errori degli ambientalisti

Chi è contrario all'energia nucleare dovrebbe studiarla meglio: magari cambierebbe idea. È successo a molti, fra cui lo scrittore ambientalista inglese Mark Lynas.

Mark Lynas specialista dei cambiamenti climatici, giornalista e scrittore (molto noto il suo libro "Sei gradi. La sconvolgente verità sul riscaldamento globale") è consigliere del governo delle Maldive (uno degli Stati più a rischio di sparizione a causa dell’innalzamento del livello del mare).

Già in occasione della conferenza Energy Choices organizzata lo scorso anno dalla Nuclear Industry Association (NIA) britannica, Lynas aveva lanciato una dura accusa alla lobby anti-nucleare, e in particolare allo zoccolo duro degli ecologisti anti-nucleari, da lui definiti «prigionieri del loro passato».

Oggi, torna a parlare di nucleare in una trasmissione televisiva inglese: What the Green Movement Got Wrong. In questo contesto, diversi ecologisti hanno spiegato i motivi della loro conversione da oppositori a sostenitori del nucleare: fra loro anche Patrick Moore, uno dei fondatori di Greenpeace, e Adam Werbach, ex presidente dell'associazione ambientalista americana Sierra Club.

Lynas riassume così i motivi del suo dietrofront: «Più conosco l'energia nucleare, meno ne sono spaventato. Non sono mai stato un attivista particolarmente antinuclearista e tendevo solo ad accettare la convinzione generale che l'energia nucleare fosse non sicura e non necessaria. Ma ho cambiato idea di fronte al suo enorme potenziale di produrre elettricità senza rilasciare anidride carbonica. Non possiamo farne a meno se vogliamo seriamente contrastare i cambiamenti climatici».

Secondo Lynas, una delle cause più forti della paura del nucleare è lo shock di Cernobyl. Ma sono timori infondati: «È stato un incidente terribile. Non deve accadere mai più e infatti è molto improbabile che accada ancora: quello era un reattore pericoloso, niente del genere è mai stato costruito in Occidente».

Anche sulla necessità dell'energia nucleare Lynas è in controtendenza rispetto a molto ecologisti che vorrebbero affidarsi solo alle fonti rinnovabili: «L'energia nucleare e quella da fonti rinnovabili sono totalmente compatibili. Abbiamo bisogno di grandi quantità di entrambe per liberare il mix energetico da petrolio e carbone e quindi fare qualcosa per contrastare i cambiamenti climatici. Senza contare che la crescente diffusione di veicoli e di riscaldamenti elettrici aumenterà il fabbisogno energetico in tutta Europa». Perciò «per la maggior parte dei Paesi europei la strada da seguire passerà per una combinazione fra nucleare, solare ed eolico e per una maggiore efficienza energetica».
In definitiva, «nessun partito politico può permettersi di essere contro il nucleare». Neanche i Verdi.

venerdì 10 dicembre 2010

L'Africa passa al nucleare

Gli adolescenti africani che hanno imparato da soli a costruire mulini a vento riceveranno anche un'eccellente copertura dai mezzi di informazione occidentali, ma i governi africani sempre più spesso cercano di far fronte altrimenti alle proprie necessità energetiche, e in particolare guardano al nucleare. Attualmente esistono soltanto due impianti nucleari nel continente africano, entrambi in Sudafrica, ma è verosimile che presto saranno in buona compagnia.

A marzo il Senegal è diventato l'ultimo paese africano in ordine di tempo a impegnarsi a realizzare un impianto per la produzione di energia nucleare entro la fine di questo decennio, e la Francia – ex potenza coloniale – si è già offerta di prestargli assistenza tecnica. Anche Algeria, Egitto, Ghana, Kenia, Marocco, Tunisia e Uganda auspicano di avere in funzione propri impianti nucleari entro la fine del decennio e di poter far fronte al fabbisogno energetico aggirando l'aumento dei prezzi dei carburanti e le molteplici tasse applicate ai normali impianti elettrici oggi esistenti. Il Sudafrica vive un periodo di boom e cercherà di aggiungere entro il 2023 altri sei nuovi impianti a quelli già esistenti.

L'Africa possiede circa il 18 % dell'uranio reperibile nel pianeta, ma la sua tecnologia e il suo know-how nucleare sono molto scarsi. Di conseguenza Cina, Giappone, Russia e Corea del Sud hanno già iniziato a esportarvi la tecnologia nucleare.

Il Sole24Ore

giovedì 9 dicembre 2010

Testa: “Nucleare e rinnovabili non sono soluzioni opposte”

Non c’è una soluzione, ma tante soluzioni possibili”. Questo il parere di Chicco Testa, ex presidente di Legambiente e attuale presidente del Forum nucleare italiano, sulla questione energetica italiana. Qualche giorno fa Testa è intervenuto nella trasmissione di Rai tre “E se domani”, insieme al docente di chimica Vincenzo Balzani. Al centro del dibattito il confronto nucleare - rinnovabili, intese come fonti-chiave per il futuro del nostro Paese.

Secondo Testa “il dibattito sull’energia è considerato uno scontro tra tifoserie opposte, mentre bisognerebbe considerare nucleare e rinnovabili come due opzioni entrambe possibili”. Le energie “alternative” sono per molti un affare, perché accompagnate da grossi incentivi, ma i mezzi per utilizzarle sono ancora scarsi. Così una fonte come il solare, per esempio, contribuisce solo per lo 0,2% al nostro fabbisogno energetico.

Bisogna allora percorrere anche altre strade, come quella del nucleare: innanzitutto si tratta di una tecnologia in continua espansione (i reattori a fusione nucleare, in via di sperimentazione, permetterebbero di produrre altra energia pulita e senza limiti) . L’energia atomica risolverebbe, poi, i nostri problemi di dipendenza dall’estero: “Siamo l’unico Paese del G8 a non avere il nucleare – continua Testa. Siamo sicuri di avere sempre ragione? E se domani ci fosse una crisi, come faremo a risolvere il problema dell’approvvigionamento energetico?”

Sarebbe il caso di rispondere a questi interrogativi. La soluzione è nel mix energetico “pulito” di nucleare e rinnovabili. Speriamo che se ne convincano finalmente tutti.

Qui il link al video della puntata E se domani.

martedì 7 dicembre 2010

Un’altra polemica inutile sul nucleare

Negli ultimi tempi protestare contro il nucleare sembra quasi una moda. Oggi leggevo che il Kyoto Club, no profit impegnata nella lotta al cambiamento climatico, si fa promotore dell'ennesima protesta contro l'atomo. E mi meraviglio come a "scendere in piazza" sia proprio un'associazione molto sensibile alla questione del cambiamento climatico. Ossia, tu che parli di prevenire il cambiamento climatico perchè bocci a priori una delle poche soluzioni possibili? Vabbè, ma questa è solo una delle tante contraddizioni in cui cadono gli "ambientalisti anti nucleare."

Tralasciando il discorso economico, su cui ho scritto più volte, sottolineando come puntare sulle rinnovabili non sia stato proprio un “affare” per l’Italia, volevo far notare un’altra cosa.
Come già è successo altre volte, anche in questo caso queste risorse energetiche sono considerate un’alternativa al nucleare e non come un’opzione da affiancare all'atomo, altrettanto “pulito” , viste le bassissime emissioni di CO2. Tutta l’Europa, così come il nostro Paese, si sta orientando verso il mix energetico, in cui nucleare e fonti “alternative” avranno un ruolo importantissimo. Le rinnovabili, da sole, non possono sopperire al nostro deficit energetico. Innanzitutto perché non sono applicabili su larga scala, ma anche perché non possono garantire per loro natura quella continuità necessaria ad alimentare un intero Paese.

A questo proposito qualche tempo fa ho letto un post, che riprendeva uno studio del Laboratoire des Sciences du Climat et de l’Environnement :la ricerca afferma che, nel periodo dal 1979 al 2008, la velocità del vento di superficie è diminuita del 5-15% in quasi tutto l’emisfero Nord, in particolare in Europa e Asia. Rallentamento probabilmente legato a un aumento della biomassa negli ultimi 30 anni.

Cosa significa tutto questo? Molti potrebbero dire che quella eolica non è l’unica rinnovabile a disposizione o contestare l’attendibilità della ricerca. Può anche essere così, ma, a mio avviso, è un segnale che non va sottovalutato. Non dico che l'eolico fra qualche anno non funzinerà, per carità! Io sono a favore di un investimento sulle rinnovabili. Dico solo che l’eolico, come le altre fonti “alternative”, non basta oggi a soddisfare il nostro fabbisogno energetico, ancora di più se un giorno si dovesse esaurire.
Mi chiedo allora: non sarebbe più costruttivo aprire finalmente le porte anche al nucleare ?

lunedì 6 dicembre 2010

Lelli: “La sicurezza delle centrali è al massimo livello ammissibile”

A pochi giorni dalla nomina dei membri dell’Agenzia che gestirà il ritorno all’energia atomica, Giovanni Lelli, commissario dell’ENEA, celebre polo di ricerca italiano sul nucleare, fa il punto della situazione su Rinnovabili.it. L’ENEA non ha mai interrotto la ricerca (di recente sono stati riattivati i “mini-reattori” Triga e Tapiro) e avrà il compito di supportare sia lo sviluppo dell’industria che l’attività dell’Agenzia, così come accade in altri Paesi “ad esempio in Francia, dove si utilizza un Istituto Scientifico per svolgere funzioni di technical support operator per l’Agenzia di Sicurezza”.

Lelli parla dello “stato dell’arte” del nucleare, cercando di sconfiggere i classici pregiudizi che ancora suscitano perplessità nell’opinione pubblica. A partire dal discorso sicurezza e dal problema scorie: “La questione sicurezza attualmente è al massimo livello ammissibile. Dobbiamo rientrare nell’ordine delle idee che un evento come Chernobyl non può accadere di nuovo”. Gli stessi rifiuti radioattivi non sono da considerare un problema, ma un vantaggio: “Non vedo problematiche nello stoccaggio delle scorie. Anzi in un certo senso la vedo un’opportunità più che un problema… Noi abbiamo avuto l’idea di mettere accanto al deposito un polo tecnologico di interesse economico-territoriale che si occuperà di gestire attività inerenti il deposito stesso”.

Anche l’impatto ambientale di una centrale è poco influente: “Per ciò che concerne l’impatto ambientale va considerato l’intero ciclo di vita della trasformazione della fonte primaria di energia, sia essa petrolio, gas o uranio, in forma di vettore energetico, e quindi di energia elettrica. Pensiamo al Golfo del Messico, gli incidenti in Cina e gli ultimi fatti in Nuova Zelanda, ricordiamo il vagone del treno esploso a Viareggio: questo, a mio giudizio, è vero impatto ambientale. Ricordiamo le colline di ceneri prodotte da una centrale a carbone. Parliamo anche di impatto ambientale del fotovoltaico, che ormai si vede ovunque nelle campagne – infatti è molto avvertito il problema della sua integrazione – come anche quello dell’eolico. Per quanto invece riguarda l’impatto ambientale di una centrale nucleare, se per un attimo tralasciamo il problema della sicurezza, dobbiamo pensare ad una costruzione con una cupola, una torre ed una ciminiera”.

Senza dubbio le parole di un esperto come Lelli sono un'ottima garanzia dei vantaggi del nucleare. Gli italiani possono dormire sonni tranquilli.

venerdì 3 dicembre 2010

Tempi di anniversari per l’energia nucleare

Il 2 dicembre è stato un anniversario doppio per l'energia nucleare: 68 anni dalla prima "pila nucleare" realizzata da Enrico Fermi a Chicago" e 53 anni dal primo reattore americano a grandezza naturale. Il 2 dicembre 1942 un gruppo di scienziati, guidati da Enrico Fermi e dall'ungherese Leo Szilard, riuscirono per la prima volta a realizzare una reazione nucleare a catena controllata. Il laboratorio era stato ricavato in un campo da squash sotto le tribune dello stadio del football dell'Università di Chicago.

La reazione a catena iniziò alle 15,25 e terminò 28 minuti dopo, quando Fermi la bloccò. Il rudimentale reattore conteneva 6 tonnellate di uranio, 40 di ossido di uranio e 380 tonnellate di grafite. L'esperimento costò in tutto 2,7 milioni di dollari (pari, al cambio attuale, a 27 milioni di euro). Erano tempi di guerra, e i risultati della fisica nucleare furono applicati in primo luogo all'uso militare. Ma il reattore di Fermi e Szilard è alla base anche dell'energia nucleare a scopo pacifico.

Riguarda invece esclusivamente gli usi pacifici il secondo anniversario. Il 2 dicembre 1957 entrò in piena attività il reattore di Shippingport (Pennsylvania), il primo degli Stati Uniti a grandezza naturale. Il reattore, dalla potenza di 60 MW, era stato costruito dalla Westinghouse in collaborazione con l'Atomic Energy Commission.

In assoluto, il primo reattore degli Stati Uniti ad aver prodotto elettricità (anche se in quantità trascurabile) era un modello sperimentale, l'Experimental Breeder reactor, entrato in funzione nell'Idaho nel 1951. I primi reattori sovietici e britannici erano invece entrati in funzione nel 1954 e nel 1956 rispettivamente.

Spento nel 1982, il reattore di Shippingport è oggi aperto al pubblico.

NuclearNews

giovedì 2 dicembre 2010

Nella cittadina di Arturo nasce un centro studi sul nucleare


Dal prossimo anno Caorso, nel piacentino, diventerà sede di una scuola di “formazione, radioprotezione e sicurezza” sul nucleare voluta da Sogin, società di gestione degli impianti atomici. In realtà, si tratta del potenziamento di una struttura nata nel 2008 e dipendente da Roma. Ora, però, si compie un significativo passo in avanti: per la prima volta la società dà vita a una delocalizzazione, realizzando un polo di ricerca autonomo, che punta ad affermarsi a livello internazionale. Operazione che richiederà una crescita dell’organico, con la creazione di nuovi posti di lavoro nel settore energetico.

Il fatto che sia stata scelta proprio la cittadina emiliana è significativo: per chi lo ricorda, Caorso ha ospitato la più grande centrale nucleare del nostro Paese, meglio nota come Arturo, attualmente in via di smantellamento. L’impianto è tuttora al centro di polemiche: gli antinuclearisti sono ovviamente contrari a una nuova centrale in zona. La cittadella di studi potrebbe servire a suscitare interesse e a sensibilizzare sul tema dell’energia atomica. Senza dimenticare il ritorno di immagine per tutta la cittadina.

Negli ultimi tempi, infatti, il nucleare è tornato in voga nelle università e nei centri di ricerca italiani, basti pensare all’aumento delle specializzazioni in ingegneria energetica nei nostri atenei, o al successo di strutture già affermate, come il centro Enea di Casaccia . Di recente, anche il presidente della Provincia di Milano Guido Podestà ha lanciato una proposta per far nascere sul territorio una cittadella di ricerca sul nucleare .

Del resto, l’Italia è stata per anni fiore all’occhiello per gli studi sull’atomo. È arrivato il momento di riprendere questa gloriosa tradizione.

Yes in my bedroom!



Ho letto il suggerimento lanciato da Nuclearnews: suggerivano di rinnovare lo slogan anti-sindrome di nimby da “yes in my back yard” a “yes in my bedroom” ed io ho colto al volo la proposta!

mercoledì 1 dicembre 2010

Rapporto Enea: sette centrali nucleari in Italia entro il 2050

Entro il 2050 saranno realizzate in Italia sette centrali nucleari, per un investimento complessivo di 35 miliardi di euro. Ad annunciarlo è l’Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile), che ha presentato ieri il Rapporto Energia e Ambiente. L’energia prodotta dagli impianti nucleari contribuirà al fabbisogno energetico nazionale per il 20%, oltre a determinare una riduzione del 10% delle emissioni di gas serra.

Il nucleare, quindi, porterà un cambiamento significativo nel nostro mix energetico, composto oggi in gran parte dalle fonti fossili, che non solo importiamo dall’estero, ma sono anche le più inquinanti. L’energia atomica, invece, ci renderà meno dipendenti sia da carbone e petrolio, oltre che dal gas: la produzione di elettricità da centrali a gas, spiega l’Enea, “risulterà fortemente ridimensionata, passando da un’incidenza del 49% al 32% nel 2050 nello scenario di riferimento”.

Produrre nucleare, poi, contribuirà in modo significativo alla nostra autosufficienza energetica: secondo i dati Enea, nell’ultimo anno il nostro livello di dipendenza energetica dagli altri Paesi è invariato rispetto al precedente (85% rispetto a una media Ue di circa il 70%). L’utilizzo di energia proveniente da fonti rinnovabili è, però, in aumento: più 16%, un quinto dei consumi complessivi di elettricità.

Ci stiamo sempre più orientando, quindi, verso uno sviluppo economico sostenibile, in cui le rinnovabili, ma soprattutto il nucleare (vista la capacità di produrre energia in larga scala), avranno un ruolo di primo piano. Ne è convinto anche il commissario dell’Enea Giovanni Lelli, che ha presentato il Rapporto: “Un sistema energetico più efficiente e sostenibile per un futuro a basse emissioni di anidride carbonica è possibile, anzi il processo di trasformazione tecnologica è già in atto”.

martedì 30 novembre 2010

Paure infondate sulle radiazioni

Una ricerca de ll’Electric Power Research Institute (EPRI) è arrivata alla conclusione che le radiazioni, in piccole dosi, avrebbero rischi per la salute molto minori di quanto si pensi.
Come noto, gli effetti delle radiazioni in grandi dosi sulla salute sono stati studiati in moltissimi casi, a partire dai militari esposti in occasione dei test atomici e, poi, in seguito alle esplosioni di Hiroshima e Nagasaki. Per le radiazioni in piccole dosi, invece, gli effetti non erano osservabili, e quindi erano stati dedotti in modo indiretto, con estrapolazioni teoriche su una stessa quantità di dose assorbita in una unica esposizione o in tempi lunghi.

Secondo la ricerca dell’EPRI (che ha confrontato i risultati di oltre 200 studi scientifici in proposito), questo metodo avrebbe sovrastimato i rischi per la salute delle radiazioni in piccole dosi: «Quando una certa quantità di radiazioni è somministrata a piccole dosi, cioè in un arco di tempo molto lungo, causa molte meno modifiche biologiche rispetto alla stessa quantità somministrata in un breve periodo».

Questo per dire che molto spesso i rischi delle radiazioni sono volutamente esagerati da parte di chi è interessato a trovare ogni motivo per contrastarne lo sviluppo dell’energia nucleare. E quello delle supposte radiazioni emesse “normalmente”, cioè senza incidenti, dalle centrali e dai depositi di rifiuti nucleari è appunto un motivo irrazionale, quando non in malafede.

Eppure, fino agli anni ’80, era abbastanza comune fare il bagno in terme che pubblicizzavano con grandi manifesti le proprie “acque radioattive”. Oggi le strutture termali non pubblicizzano più la cosa, ma ci sono almeno una ventina di strutture (vedi qui un breve elenco) che, nei dati analitici delle acque, ammettono che sono radioattive. Avvisando non di stare attenti, ma che la radioattività fa bene al sistema nervoso, all’artrosi e tanti altri malanni.

D’altra parte tutti gli esseri umani sono esposti ad una dose naturale di radiazioni di circa 2 milliSievert all’anno. Ma in media. Il che vuol dire che ci sono zone ove tale dose è doppia, tripla ed in qualche caso anche 10 volte superiore al valore medio, senza che questo comporti differenze nello stato di salute o nell’attesa di vita.
Ad esempio, in Italia gli abitanti del Viterbese e della zona dei Campi Flegrei sono soggetti a dosi di radiazione 2-3 volte la media nazionale. E che dire del fatto che in Piazza San Pietro, a Roma, la radioattività è 10 volte superiore alla media nazionale, per via dei particolari blocchetti di granito usati per la pavimentazione?

lunedì 29 novembre 2010

Il referendum del 1987 e la scelta di "spegnere" il nucleare. Ma anche no

«In realtà» afferma Adriano De Maio, ex rettore del Politecnico di Milano e della Luiss di Roma ed ex commissario del Consiglio nazionale delle ricerche, il referendum al quale gli italiani sono stati chiamati a votare nel 1987, «non chiedeva affatto alla popolazione di chiudere le centrali, che allora erano quattro e tutte di buona qualità, né di bloccare quelle future, come Montalto di Castro, che sarebbe entrata in funzione proprio nel 1987, né di rinunciare a qualsiasi studio e sviluppo e a un settore industriale nel quale avevamo una presenza consolidata. Si sfruttò l’onda emotiva per fini politici, come se oggi si chiedesse di rinunciare alla benzina per l’incuria della Bp nel Golfo del Messico».

I tre quesiti del 1987 chiedevano di abrogare due articoli minori di una legge del 1983 sulla localizzazione delle centrali e rimborsi ai comuni, e uno della legge istitutiva dell’Enel del 1973 che consentiva di partecipare alla gestione di centrali atomiche all’estero. Fu nell’88 che i governi di Giovanni Goria e Ciriaco De Mita decisero di modificare il piano energetico nazionale (Pen) decretando una «moratoria nell’uso del nucleare quale fonte energetica».

In nessun momento ci si chiese quale sarebbe stato l’impatto sull’economia, sulla dipendenza energetica, oltre che sulla stessa salute per la rinuncia allo studio di impianti più moderni e sicuri. «Insomma, non si sottoposero ai cittadini i costi del non fare» dice De Maio. «Neppure ora bisogna essere approssimativi né banali, se però ci si fa prendere la mano da analisi non metodologicamente corrette, allora conviene rivolgersi agli sciamani».

Da un articolo pubblicato su Panorama

Senza energia (nucleare) .. che fatica!

venerdì 26 novembre 2010

Usa La Mente! Proteggi L'Ambiente!

"Scuole per Kyoto" è un progetto Kyoto Club che prevede l'attivazione di programmi didattici rivolti agli studenti delle Scuole medie inferiori e superiori con lo scopo di preparare le nuove generazioni alle nozioni tecniche e scientifiche legate alla sostenibilità energetica e ambientale.

L'associazione punta a definire un percorso formativo per lo studente che può essere utile ad indicargli le eventuali strade professionali per il suo futuro, ma soprattutto le sfide culturali e tecnologiche che la società sta affrontando nel passaggio da una generazione energetica centralizzata ad una distribuita, con la conseguente maggiore attenzione ai progetti e alle tecnologie per l'efficienza energetica.

Per l'edizione 2011-2012 Kyoto Club intende lanciare un nuovo programma destinato alle Scuole Medie inferiori e superiori non tecniche (medie inferiori, licei classici e scientifici) su tematiche che riguardano, oltre a quelle energetiche, la mobilità sostenibile, la produzione e l'utilizzo sostenibile di prodotti food e non-food e il tema dei rifiuti.

Il progetto intende coinvolgere 50 Scuole (circa 200 classi per 4mila studenti) su tutto il territorio nazionale, principalmente quelle presenti nelle Province di Torino, Milano, Bologna, Roma e Napoli, oltre ad altre località da concordare con il Cofinanziatore dell'iniziativa.

Scuole per kyoto

giovedì 25 novembre 2010

Il Codice nucleare

Un programma nucleare, per la sua stessa natura tecnologica, non può essere portato avanti in un Paese senza tenere conto delle esperienze all'estero. E questo vale anche a livello normativo: si sentiva quindi la mancanza di uno strumento che contestualizzasse la regolamentazione italiana nel panorama internazionale.

Questa lacuna è stata colmata dal Codice dell'energia nucleare, curato da Pietro Maria Putti, subcommissario Enea, e presentato il 23 novembre a Roma, al Ministero dello sviluppo economico.

Il volume contiene tutta la normativa, sia italiana sia straniera, in materia di energia nucleare, dalle prime fasi autorizzative fino allo smaltimento delle scorie e allo smantellamento degli impianti.

«Questo Codice dimostra che non ci dobbiamo inventare nulla, ma dobbiamo immaginare il ritorno al nucleare italiano come un tassello del nucleare mondiale», ha commentato Stefano Saglia, sottosegretario allo Sviluppo economico, intervenendo alla presentazione. Secondo Saglia, il Codice dovrebbe diventare un manuale sia per l'Agenzia italiana per la sicurezza sia per le Regioni e gli enti locali.

«La cosa che mi ha colpito di più di questo manuale è vedere che le norme internazionali sono molte di più di quelle nazionali. Quindi ritornare al nucleare italiano vuol dire recepire tutte queste direttive. Questo per noi è una garanzia», ha affermato poi Francesco Giorgianni, responsabile per gli affari istituzionali di Enel.

Secondo Giorgianni, bisogna accelerare per l'integrazione europea anche per quanto riguarda l'energia nucleare: «Dovremo arrivare ad un'unica Autorità europea per il nucleare, così come è ora per l'Autorità per l'energia elettrica e il gas». «Il sogno di tutti i nuclearisti è che si arrivi a norme di sicurezza uniche» europee, ha aggiunto Bruno D'Onghia, presidente di Edf Italia.

Newclear

mercoledì 24 novembre 2010

Wwf-Ecofys: UE indietro rispetto agli obiettivi climatici del 2050

Solo un terzo delle azioni necessarie vengono implementate per indirizzare i paesi dell'Ue verso il raggiungimento dell'obiettivo di una economia a basse emissioni di carbonio entro il 2050, con la riduzione dell'emissione dei gas serra dell'80-95%. Nel Vecchio Continente, inoltre, sono al momento solo 4 i Paesi che prendono qualche iniziativa e sono Germania, Danimarca, Irlanda e Svezia, che raggiungono però appena la metà degli obiettivi necessari. Riguardo l'Italia, inoltre, il rapporto parla chiaro: è un Paese diviso a metà tra i successi raggiunti nel settore delle rinnovabili, il conto energia sul fotovoltaico e il ritorno al nucleare.

E' lo scenario che emerge dal Climate Policy Tracker, un nuovo strumento di monitoraggio lanciato oggi a Roma dal Wwf e da Ecofys a pochi giorni dal Summit sul clima, Cop16, che si terrà dal 29 novembre al 10 dicembre a Cancun, in Messico. Il rapporto e il relativo sito, il cosiddetto Climate Policy Tracker dell'Unione Europea, forniscono infatti per la prima volta un quadro aggiornato delle misure di controllo dei gas serra in tutta l'Ue basato su un'analisi dei singoli Stati Membri e dei singoli settori.

Riguardo l'Italia, l'energia nucleare è un elemento importante della Strategia Energetica Nazionale, che attualmente non esiste, e nel futuro il 25% dei consumi dovrebbe provenire da questa fonte". Oltre ad altri aspetti ambientali, nel Rapporto "è prevista una forte opposizione alla costruzione di impianti nucleari, che molto probabilmente ritarderà e ridimensionerà i risultati attesi in termini di riduzione dei gas serra".

Adnkronos

martedì 23 novembre 2010

Quanto è costato all'Italia uscire dal nucleare?

.. è costato 45 miliardi di euro. Il conto è stato presentato dallo studio “I costi del mancato sviluppo del nucleare in Italia”, realizzato da Andrea Gilardoni, Stefano Clerici e Luca Romè nell’ambito dell’Osservatorio “I Costi del non fare”: si tratta di una cifra compresa tra i 29 e i 45 miliardi di euro.

L’ampiezza dell’intervallo è determinata dal tipo di scenario considerato, anche se sul fatto che un danno economico ci sia stato sembrano non esserci dubbi. Lo studio ricorda come, però, proprio nell’anno della catastrofe di Chernobyl, il Governo aveva programmato la realizzazione di nuove centrali per una potenza cumulata complessiva di oltre 13.000 Mw, pari al 22% della potenza complessiva installata sul territorio nazionale. Il saggio delinea così due diversi scenari: il primo immagina appunto uno sviluppo come quello ipotizzato nel 1986 (con un proseguimento dell’attività nucleare), mentre il secondo scenario, più moderato, si basa su una sostanziale stabilità (9.000 Mw di capacità) della produzione atomica italiana.

Anche in quest’ultimo caso, secondo l’Osservatorio del non fare, il confronto rispetto a questi ultimi 23 anni senza atomo sarebbe inequivocabile: con una produzione nucleare moderata l’Italia avrebbe infatti risparmiato 29 miliardi di euro, mentre nello scenario avanzato il guadagno sarebbe stato di 44,8 miliardi.

In entrambi i casi oltre 17 miliardi sono derivati dai costi legati al decomissioning dei vecchi impianti e ai rimborsi alle società che operavano nel nucleare che l’Italia ha dovuto affrontare in questi anni; altri 3 o 6 miliardi di euro (a seconda dello scenario) arrivano dal rendimento di capitale risparmiato. La vera differenza tra le due ipotesi la fanno però i maggiori costi di generazione elettrica che il nostro paese ha dovuto subire per l’addio al nucleare: se si fosse avverato lo scenario moderato lo scarto rispetto alla situazione reale sarebbe stato di 8 miliardi di euro, che invece diventano oltre 21 miliardi se si prende in considerazione la previsione di sviluppo atomico del 1986.

In particolare, dal 2000 in poi l’Italia ha dovuto compensare l’assenza di energia atomica con l’acquisto di fonti fossili come petrolio e gas, il cui prezzo è inesorabilmente cresciuto negli ultimi dieci anni. Al contrario il costo di generazione del nucleare è rimasto del tutto stabile dal 1987 in avanti e addirittura il costo della materia prima (l’uranio) rispetto a quella data si è ridotto dai 3.397 euro al chilo agli attuali 1.967 euro.

Il Sole24ore

lunedì 22 novembre 2010

Cronaca di un banchetto solitario anti-nucleare

Il 6 e 7 novembre alcuni Comuni italiani hanno ospitato la manifestazione “100 piazze per il clima – Festa delle energie pulite”, promossa da Legambiente. Obiettivo era raccogliere firme per una proposta di legge a favore dello sviluppo delle energie rinnovabili e contro il ritorno al nucleare. Secondo le previsioni degli organizzatori, l’iniziativa avrebbe dovuto essere un successo, ma leggendo un po’ di notizie disseminate su blog e siti, si può dire che non è stato esattamente così.

Qualche giorno fa ho trovato su Greenreport un articolo (Cronaca sconsolata di una raccolta di firme a Pontassieve) che raccontava del disastroso esito della raccolta di firme a Pontassieve, comune del fiorentino. Nella cittadina toscana tre volontarie di Legambiente, Melania, Claudia e Ilaria, si sono presentate, armate di penna e di tanta determinazione, al banchetto allestito per l’occasione. Già qualcosa era andato storto: la Coop locale si era, infatti, rifiutata di organizzare il punto di raccolta firme. Un triste presagio di quello che sarebbe successo dopo. Alla richiesta delle volontarie di sostenere la proposta di legge molti cittadini non sapevano di cosa si stesse parlando. Altri preferivano una soluzione più “efficace”: meglio metterle a tacere con un’offerta in denaro, piuttosto che appoggiare una battaglia di cui si ignorano i contenuti.

Ma non finisce qui: in tanti erano favorevoli al nucleare. Uno smacco troppo grande per le “schizzate in maglietta gialla”, come sono state ribattezzate poco simpaticamente le sostenitrici dell’associazione ambientalista. I pochi giovani che si sono fermati al banchetto per qualche minuto hanno, infatti, candidamente ammesso di non essere neanche spaventati dall’idea di una centrale nucleare a Pontassieve o dall’acquisto di reattori francesi. Anche alcuni cinquanta/sessantenni hanno detto sì agli impianti, purché “non vicino casa”. Decisamente più efficace (e anche più triste!) il messaggio degli ultrasettantenni: non ci interessa firmare, tanto tra qualche anno “saremo belli e morti!”

Una sola eccezione: alcune bambine si sono dette disposte a firmare per il “no” al nucleare. Peccato che i minorenni non possano partecipare alle proposte di legge.
Che sia per la poca informazione o per la consapevolezza dell’importanza dell’energia atomica, nella cittadina quasi nessuno è stato disposto ad abbracciare la causa ambientalista.
Una sconfitta sotto tutti i fronti per le volontarie, che si sono ritrovate deluse e sole al banchetto anti-nucleare. Non resta che sperare in un po’ più di fortuna alla prossima occasione.

venerdì 19 novembre 2010

Arrivano anche in Toscana i premi "Pimby"

Anche la Toscana coinvolta nei premi Pimby (Please in my backyard) 2010, i riconoscimenti per le amministrazioni che dicono sì alle infrastrutture sul proprio territorio. E' stata premiata Toscana Energia, che ha realizzato la centrale di cogenerazione e installato il parco fotovoltaico nel comune di Pisa.

Si tratta del più grande della regione, con una potenza di 3,7 Mw e una capacità produttiva stimata in oltre 5 milioni di Kw annui, pari al fabbisogno di 3 mila famiglie con un beneficio ambientale di circa 3750 tonnellate annue di CO2 risparmiate. Inoltre è stata premiata anche Publiacqua, la società che gestisce il servizio idrico nelle province di Firenze, Prato, Pistoia, per l'impianto di trattamento delle acque reflue a Firenze che non verranno più scaricate in Arno.

Infatti verrà costruita una tubazione di 7 chilometri che dal collettore di scolo (zona Poderaccio) porterà le acque reflue fino al depuratore di sana Colombano. In questo caso ci pare premiato il "cambio di marcia" visti gli annosi ritardi, considerato poi che l'opera sarà completata tra qualche anno.

«Le infrastrutture sono essenziali per lo sviluppo economico del Paese e per la competitività di un territorio. Oggi le aziende investono principalmente dove è garantito un sistema di reti efficiente» ha dichiarato Patrizia Ravaioli, presidente dell'Associazione Pimby fondata nel 2007 con l'obiettivo di superare la sindrome Nimby, cioè la sindrome di chi si oppone alla localizzazione di opere pubbliche o private sul proprio territorio.

«Accanto alle grandi opere è necessario realizzare infrastrutture medio-piccole diffuse sul territorio. La nostra associazione da anni monitora gli investimenti e premia gli amministratori locali che realizzano opere sul proprio territorio, coniugando il rispetto delle regole con il consenso dei cittadini» ha concluso Ravaioli.

Tra gli altri premiati: il comune di Aprilia e la provincia di Latina per l'ampliamento dell'impianto di compostaggio; la Regione Emilia-Romagna per la Variante di valico; la provincia di Roma per il Wi-Fi.

Fonte - Greenreport

giovedì 18 novembre 2010

Solo il nucleare può salvarci


L’energia elettrica generata da carbone e gas continua a crescere e a prevalere rispetto a quella derivante da altre fonti. Questo il dato più evidente che emerge dal rapporto Weo, di cui ho letto sul blog newclear.

Si tratta di un documento presentato annualmente dall’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), che analizza l’andamento incrementale dell’energia elettrica generata dalle varie fonti. In particolare, nel periodo che va dal 2000 al 2008, carbone e gas sono cresciuti molto di più rispetto alla fonti rinnovabili e al nucleare.
Rispetto alle rinnovabili, il carbone è cresciuto due volte e mezza in più, il gas una e mezza. Dato che trova immediatamente riscontro se si osserva che dal 1997 al 2009 le fonti prive di emissioni di CO2 sono passate dal 36,9 al 33,9 % (dati IEA). Questo significa che, nell’era della sostenibilità, si continua a fare ricorso in maniera massiccia proprio alle fonti tradizionalmente più inquinanti.

Eppure, lo sviluppo delle rinnovabili è stato agevolato in questi anni da cospicui incentivi:sempre secondo il Rapporto le energie “alternative” hanno ottenuto sussidi per 50 miliardi di dollari e la loro sostenibilità, per l’Agenzia, comporta sussidi fino a 200 miliardi di dollari nel 2035.
Anche il nucleare ha continuato a crescere, seppure in modo meno evidente rispetto a gas e carbone.Il fatto che in una fase in cui il tema ambiente è tornato in primo piano si continui a puntare soprattutto sulle fonti più “dannose” va tenuto in considerazione. Bisognerebbe iniziare un’inversione di tendenza a favore di altre risorse meno inquinanti.
Considerando l’enorme dispendio di denaro legato alle rinnovabili, la soluzione migliore sarebbe proprio il nucleare:ha emissioni di CO2 pari quasi a zero, oltre a essere sicuro e soprattutto meno costoso. Cosa stiamo aspettando, allora?

mercoledì 17 novembre 2010

Epr: le modifiche apportate soddisfano le autorità inglesi

L'autorità regolatoria britannica Health and Safety Executive (HSE) si è detta soddisfatta delle modifiche apportate al progetto del reattore Epr dalle società francesi Areva e EdF: tutte le questioni principali sono state risolte. L'HSE aveva espresso in un primo tempo quattro riserve sulla strumentazione, ma ora ha ritenuto che siano stati fatti i ritocchi necessari.

«Grazie al lavoro di alta qualità della nostra squadra abbiamo raggiunto un'altra tappa decisiva per la strumentazione di nuova generazione, dopo che la sua architettura era stata approvata in Finlandia in primavera», ha commentato Philippe Knoche, vicepresidente esecutivo del settore Reactors and Services Business Group dell'Areva, che ha concluso: «Questo è anche un chiaro riconoscimento della qualità del progetto del reattore Epr».

Rimangono ora alcune modifiche da apportare, ma di minore importanza: le richieste della HSE sono state declassate da "questione regolatoria" alla categoria inferiore di "osservazione regolatoria", che non ostacola necessariamente l'accettazione del progetto.

Un comunicato dell'Areva ha affermato: «La valutazione del progetto Epr va avanti, ma non c'è più alcun blocco che possa impedire di terminare il processo in modo positivo. Come parte del dialogo costante fra operatori, costruttori e autorità di sicurezza britanniche, l'Areva continuerà a fornire i suoi contributi di alta qualità e nel rispetto dei tempi, in modo da rispettare la scadenza del giugno 2011 che l'HSE ha posto per completare la valutazione del progetto».

Da NuclearNews

martedì 16 novembre 2010

Margherita Hack: “L’Italia ha bisogno del nucleare”



È probabilmente l’astrofisica italiana più conosciuta ed è nota anche per essere spesso intervenuta su temi civili e politici: stiamo parlando di Margherita Hack, di cui poco tempo fa ho trovato quest’intervista in rete.
Nell’intervento la scienziata parla a tutto tondo del nucleare e sottolinea l’importanza dell’energia atomica per il nostro Paese. La Hack, si sa, non è certo filogovernativa, per cui il suo punto di vista è prettamente scientifico: dobbiamo tornare al nucleare perché ne abbiamo bisogno. Il suo messaggio è semplice e diretto.
Il nucleare, per la scienzata, è vantaggioso per diverse ragioni, innanzitutto la sicurezza: le centrali, afferma la Hack, non sono più quelle di una volta. Gran parte dell’opinione pubblica è rimasta legata a Chernobyl nella sua concezione dell’energia atomica, dimenticando che nel frattempo gli studi e la tecnologia sono andati avanti. Gli impianti sono più sicuri (addirittura in quelli a tecnolgia Epr i sistemi di sicurezza sono quadruplicati) e le scorie prodotte minime. A proposito di rifiuti radioattivi, la Hack aveva lanciato in passato la proposta di lanciarle nello spazio, suscitando non poche reazioni.

Dalla sicurezza il discorso si sposta alla questione energetica: l’Italia deve necessariamente produrre energia in casa perché è troppo dipendente dall’estero. Per comprendere l’importanza di questo problema bisogna iniziare ad analizzarlo senza filtri “ideologici”: il nucleare, spiega l’astrofisica, “non è né di destra né di sinistra”.

lunedì 15 novembre 2010

Il nucleare e la questione sicurezza

Quando si parla di centrali nucleari uno dei temi tabù per l’opinione pubblica è sicuramente quello della sicurezza. A distanza di più di 20 anni, infatti, gli italiani sentono ancora l’eco di Chernobyl e vivono con preoccupazione il problema della radioattività.

Innanzitutto c’è da dire che siamo esposti quotidianamente a radiazioni (radiazioni cosmiche e terrestri): addirittura la radioattività naturale in Italia è tre volte maggiore rispetto a quella artificiale, con una dose media annua di 3,3 mSv (milli-sievert) contro 1,1 mSv. Associare la radioattività esclusivamente al nucleare è, quindi, già un primo errore.

Quanto alla sicurezza, basta dare un’occhiata alle best pratices adottate dagli altri Paesi per capire come sul tema siano stati fatti tanti passi in avanti. Iniziamo dalla Francia: il paese d’oltralpe, che ricava dal nucleare il 70% della propria elettricità, ha adottato insieme a Edf un protocollo sulla prevenzione dei rischi nelle centrali atomiche. Già la stessa struttura degli impianti, divisi in tre sezioni separate che fungono da barriere, garantisce elevati standard di sicurezza.

Spostandoci oltreoceano, è degli Stati Uniti (primo produttore mondiale di energia nucleare) l’ultimo dispositivo in materia di sicurezza. È stato ideato un robot con il compito di controllare gli impianti e di trasmettere immagini real time agli operatori, permettendo, così, di individuare intrusi, anomalie o attività sospette. Anche il Giappone non è da meno quanto a innovazioni:gli impianti presenti nel Paese sono praticamente antisismici, progettati, cioè, per sopravvivere ai frequenti terremoti che colpiscono le sue isole. Inoltre la Nuclear Safety Commission nipponica ha dato vita a un programma di riciclaggio del combustibile nucleare, che consente di utilizzarlo per un doppio ciclo. Non si può non commentare positivamente tutte queste iniziative. All’Italia, dunque, non resta altro che prendere spunto.

venerdì 12 novembre 2010

Gross: Il nucleare è la scelta migliore per l’Italia

Il nucleare è la fonte di energia “più sicura e meno costosa”, per questo è fondamentale che l’Italia vada avanti nel suo programma di ritorno all’atomo. Ad affermarlo è David Gross, ospite qualche giorno fa della cerimonia per i 45 anni del Centro internazionale di fisica teorica (Ictp) Abdus Salam di Trieste. Per chi non lo sapesse, Gross ha vinto il premio Nobel per la fisica nel 2004, insieme a David Politzer e Frank Wilczeck. È, quindi, un grandissimo esperto del settore.

Il Nobel ha parlato della questione sicurezza: bisogna cercare di sconfiggere le paure dominanti, sia sui rischi delle centrali, ormai praticamente ridotti a zero, sia sulla delicata questione dei rifuti radioattivi (su cui, tra l’altro, l’Unione Europea si è pronunciata di recente ).
L’investimento sul nucleare sarebbe, poi, vantaggioso, anche per il discorso costi: Gross ha ribadito che l’energia atomica rappresenta la forma di energia meno costosa. Con un ritorno positivo non solo per le nostre tasche ma anche per la sostenibilità ambientale: si pensi al numero limitato di emissioni di CO2 dell’energia nucleare, che permette di assimilarla alle rinnovabili come forma di energia “pulita”.

Non c’è dubbio, quindi, che il nucleare possa essere un’ottima soluzione per la dipendenza dall’estero del nostro Paese, che ha bisogno di fonti pulite e in generale di una maggiore efficienza energetica. Per Gross è la scelta migliore che l’Italia possa fare. “Il nucleare – ha affermato – è sostanzialmente una questione di tecnologia e sicurezza, che sono state migliorate negli ultimi decenni”. E in questo il nostro Paese non ha nulla da invidiare a nessuno. Parola di Nobel.

giovedì 11 novembre 2010

Intervista a Umberto Veronesi



Negli ultimi tempi è stato al centro dell’attenzione più per il suo appoggio al nucleare che per le sue indiscusse competenze in campo medico: stiamo parlando di Umberto Veronesi, neopresidente dell’Agenzia per la sicurezza nucleare.
Che le si condivida o no, da anni l’oncologo esprime con decisione le sue idee sull’energia atomica, cercando di spiegarne i vantaggi anche a chi non è, come lui, “uomo di scienza”. Come in questa intervista, che ho trovato qualche giorno fa: Veronesi si sofferma su alcuni aspetti “cruciali” del nucleare, tra cui le tanto temute scorie. Il presidente dell'Agenzia spiega che i rifiuti radioattivi, se opportunamente riprocessati, si riducono notevolmente. E, c’è da aggiungere, con le nuove centrali è minore anche il numero di residui ad alta attività, cioè quelli più potenzialmente pericolosi. È fondamentale, poi, collocare i rifiuti radioattivi in zone sicure e refrigerate (scelta che l’Unione Europea ha proprio adottato di recente).
L’intervista tocca anche un tema caro a Veronesi: le applicazioni del nucleare in campo medico. Innanzitutto, spiega, gli isotopi radioattivi sono già comunemente utilizzati per l’identificazione dei tumori e il nucleare in genere può avere diversi utilizzi a scopo terapeutico.
Di sicuro, per l’oncologo, l’Italia sarà ampiamente in grado di portare avanti le ricerche sull’atomo: dalla nostra parte c’è una scuola di prim’ordine, che ci ha fatto conoscere e apprezzare in tutto il mondo.

mercoledì 10 novembre 2010

Studio Fondazione Impresa: ecco le regioni più “green”

Negli ultimi anni si sente parlare sempre più spesso di rivoluzione verde nell’economia. In una fase in cui la questione energetica e ambientale sono tornate d’attualità, Fondazione Impresa ha dato vita a uno studio che fotografa proprio lo stato dell’arte delle nostre regioni sulla cosiddetta green economy.Secondo lo studio le regioni più “green” d’Italia sono Trentino Alto-Adige, Toscana e Basilicata, seguite da Calabria, Val d’Aosta e Veneto.

La classifica è stata ottenuta sulla base del valore dell’IGE (Indice di Green Economy), calcolato a partire da nove indicatori: energia elettrica ottenuta da fonti rinnovabili, energia elettrica ricavata da fonti idriche, energia elettrica derivante da fonti non idriche, quota di rifiuti solidi urbani che viene differenziata, frazione organica della raccolta differenziata, quota di rifiuti solidi urbani destinati a discarica, numero totale di operatori nel biologico ogni 100mila abitanti, incidenza delle coltivazioni destinate al biologico sul totale della superficie agricola utilizzata, efficienza energetica.

In particolare, per quanto riguarda la produzione energetica, l’associazione ha calcolato anche l’incidenza nelle regioni della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (distinguendo tra fonti idriche, eoliche, fotovoltaiche, geotermiche e biomasse). Le regioni con il mix migliore sono Sardegna, Molise e Basilicata. In riferimento alle singole tipologie di rinnovabili, le fonti idriche sono presenti soprattutto al Nord, mentre quelle eoliche e le biomasse prevalgono soprattutto al Centro e nel Sud; fotovoltaico e geotermico sono, invece, ancora poco diffusi.

Dallo studio si vede chiaramente innanzitutto che la mappa della green economy tocca Nord e Sud senza distinzioni. Le stesse rinnovabili, poi, seppur in modo non omogeneo, sono ormai presenti in tutta la penisola. Dimostrazione che la consapevolezza per il rispetto dell’ambiente è presente ovunque, così come la tendenza a orientarsi verso fonti energetiche più “pulite” rispetto a quelle tradizionali. La strada verso un mix energetico “eco-friendly” sembra ormai avviata.

martedì 9 novembre 2010

Una comunicazione chiara per avvicinare i cittadini al nucleare

Che la comunicazione sia fondamentale per far conoscere e accettare il nucleare è certo. Il problema è come far arrivare tutte queste informazioni alla gente, che spesso non è pratica di termini tecnici e di questione energetica.

Leggevo, però su Nuclear News che in Francia e Svezia sembrano esserci riusciti benissimo. Come? Attraverso un approccio partecipato, che coinvolge direttamente i cittadini nella comprensione dell’argomento. A spiegare i dettagli due personalità che da tempo hanno a che fare con il nucleare: Claude Gatignol, deputato al Parlamento francese ed esperto di comunicazione sul nucleare, e Saida Lâarouchi Engström, direttore Informazione pubblica e valutazione impatto ambientale della SKB, la società svedese per il combustibile nucleare e la gestione delle scorie.

Gatignol è stato testimone dell’esperienza di Flamanville, dove è in costruzione il primo reattore francese Epr, lo stesso tipo di tecnologia che sarà realizzato in Italia: per combattere la forte diffidenza della popolazione sono stati organizzati degli incontri, in cui si cercava di spiegarne rischi e vantaggi. Obiettivo era ottenere la fiducia dei cittadini facendo totale chiarezza sul tema. Un metodo simile è stato adottato in Svezia, con dibattiti pubblici per favorire un approccio “più improntato ad ascoltare i cittadini e le loro esigenze che a spiegare le questioni in modo didattico”, come spiega la Engström. Metodo che sembra aver avuto i suoi effetti: gli svedesi nel 1980 avevano votato contro il nucleare con un referendum. Ora, invece, complici anche per le bassissime emissioni di gas serra prodotte dall'industria nucleare, i pareri sono cambiati, come dimostra anche la “battaglia” tra due città per ospitare un deposito di rifiuti radioattivi.

Il segreto, dunque, sta nell’essere più chiari e sinceri possibile, per permettere a chiunque di farsi un’opinione basata su dati concreti e libera da pregiudizi. L’energia nucleare, spiega la Engström “è una tecnologia, non una religione”, per cui va spiegata e non accettata o rifiutata a priori. Forse anche la nostra informazione dovrebbe seguire questa strada. Potrebbe essere un ottimo tentativo per iniziare a sconfiggere la diffidenza che spesso si percepisce quando si pronuncia la parola “nucleare”.

lunedì 8 novembre 2010

Beppe Grillo e la (dis) informazione sul nucleare




Beppe Grillo è diventato ormai un “eroe” della comunicazione: il suo blog è seguito e commentato da milioni di utenti, per non parlare delle tantissime persone che affollano i palasport per assistere ai suoi spettacoli.

Non sempre, però, tutto quello che dice è vero, come dimostra questo video “illuminante” che ho trovato in rete: in uno dei suoi spettacoli il comico parla di nucleare.

E puntualmente buona parte delle sue affermazioni è smentita da fonti che affermano esattamente il contrario. Qualche esempio: Grillo sostiene che costruire una centrale non conviene, perché si dovrebbe “smontare” dopo 15 anni. Notizia falsa, perché gli impianti, progettati per 40 anni, possono tranquillamente restare in funzione fino a 60.
Ogni centrale, poi, secondo il comico, ha bisogno di averne vicina una a carbone, per poter estrarre il plutonio dall’uranio: informazione che si smentisce semplicemente osservando la collocazione degli attuali impianti nucleari.

Ma Grillo supera se stesso quando afferma che noi “compriamo e vendiamo energia”, per cui non abbiamo bisogno di altre fonti: in realtà non è così, dato che la acquistiamo e basta. Il nostro deficit energetico dovrebbe insegnare qualcosa.
Non voglio togliervi la curiosità, per cui la chiudo qui. Siete scettici? Pensate che non sia possibile fare delle affermazioni simili? Guardare per credere.

venerdì 5 novembre 2010

Conflitti di interesse “ecologici”

Con l’annuncio del ritorno al nucleare dell’Italia sono ricominciate puntualmente polemiche e proteste di vario genere. Scene già viste in tanti altri casi, dalla questione del surriscaldamento globale all’emergenza rifiuti.

Documentandomi in rete, ho letto da più parti che spesso tutte queste battaglie non sono poi così “limpide” e disinteressate come si vuole far credere: in alcuni casi i protagonisti, come si dice, “predicano bene e razzolano male”. Mi spiego: poco tempo fa ho trovato un articolo, corredato da link e fonti, che parlava proprio degli “affari” della principale associazione ambientalista di casa nostra, Legambiente.

Mi limito a citare qualche esempio: in passato l’associazione ha protestato contro la centrale Turbogas a Pontinia, ma “stranamente” non contro quella di Modugno (Puglia), che doveva essere costruita da Sorgenia (operatore privato dei settori energia elettrica e gas). Un comportamento quantomeno poco coerente, dato che si tratta di impianti dello stesso tipo. Ebbene, proprio Legambiente possiede il 10% delle azioni di questa società. Dimostrazione di come, nel caso della struttura pugliese, l’associazione che si batte per la tutela dell’ambiente abbia evidentemente in gioco interessi di altra natura.

Non finisce qui: Legambiente e Sorgenia fanno parte entrambe del Kyoto Club, no-profit che, insieme all’associazione ambientalista e ad Ambiente Italia, è comproprietaria della società srl Azzero CO2. Una delle attività di questa società è la compravendita di C.a.r.b.o.n. C.r.e.d.i.t. , certificati di credito di emissioni di CO2: si tratta di un sistema ideato per “compensare” le emissioni di CO2 prodotte dalle nostre attività. In parole povere, ciascuno di noi può pagare dei “credit” di valore variabile in base alla quantità di CO2 generata. Soldi che vanno a finanziare progetti, soprattutto in paesi in via di sviluppo, che dovranno assorbire tanta anidride carbonica quanta ne è stata emessa in più. Che significa tutto questo discorso? Che da un lato Legambiente lotta per la riduzione delle emissioni di CO2, dall’altro è direttamente coinvolta in questa compravendita: un conflitto d’interessi “ecologico”, si può definire.
Ma se a muovere le battaglie di Legambiente sembra esserci qualche interesse economico, si potrebbe sollevare qualche dubbio anche sul fatto che l’associazione sia completamente “apartitica”, così come si legge sul suo sito. Scorrendo l’elenco dei presidenti, è difficile trovare qualcuno che non abbia avuto a che fare con la politica. Si può ancora affermare con certezza che i partiti siano totalmente estranei all’associazione?

Ognuno è libero di pensarla come vuole, ma, a mio parere, prima di sposare una causa e fare una protesta, bisognerebbe conoscerne bene le ragioni e le logiche che sono alla base.
Anche quando una battaglia sembra completamente disinteressata e animata dai più nobili ideali.

giovedì 4 novembre 2010

L’Unione europea detta le regole per la gestione dei rifiuti radioattivi

La Commissione Europea ha diffuso ieri la proposta di direttiva sulla gestione dei rifiuti radioattivi prodotti dalle centrali nucleari e nell’ambito della medicina e della ricerca. Il provvedimento prevede che entro il 2015 gli Stati membri dell’Ue comunichino i programmi relativi alla costruzione dei siti per lo stoccaggio dei residui nucleari alla Commissione, che può anche modificarli se lo ritiene opportuno. Le licenze per la costruzione dei depositi dovranno essere concesse da autorità indipendenti con il compito di verificare il rispetto delle norme di sicurezza fissate dall’Aiea (Agenzia internazionale dell’energia atomica), che diventeranno giuridicamente vincolanti.

Sulla realizzazione dei siti ci sono delle indicazioni ben precise:
innanzitutto i rifiuti dovranno essere stoccati all’interno del territorio comunitario, per cui non sarà più concesso l’export verso paesi terzi, a basso costo ma con standard di sicurezza non ottimali.
I depositi non potranno trovarsi a meno di 300 metri di profondità, variabili secondo le condizioni geologiche locali, e potranno essere utilizzati anche da più Stati di comune accordo.

La scelta dell’Unione Europea sembra premiare la sicurezza, come dimostra la decisione di localizzare le scorie in profondità: i siti attualmente esistenti sono tutti provvisori e presentano delle caratteristiche che non li rendono particolarmente affidabili. Questo genere di depositi, infatti, è fondamentale per ridurre la temperatura degli elementi combustibili e diminuire l’intensità delle radiazioni, ma, oltre ad avere bisogno di manutenzione e sorveglianza continue, è esposto al rischio di incidenti, disastri aerei e terremoti. Va detto, poi, che a più di 50 anni dall’entrata in funzione del primo reattore nucleare, attualmente non ci sono ancora in Europa depositi definitivi. La realizzazione dei siti sarà preceduta da una campagna di informazione destinata ai cittadini, per coinvolgere l’opinione pubblica in tutto il processo decisionale relativo alla gestione dei residui nucleari.

Risolvere la questione “scorie” è, quindi, indispensabile, non solo perché oggi nell’Unione Europea ci sono 143 centrali nucleari, che producono 50mila metri cubi di rifiuti radioattivi, tutti in depositi provvisori, ma anche perché il problema continua ad essere particolarmente sentito, come insegna il tanto diffuso effetto Nimby. Adesso bisognerà attendere i piani dei governi europei.

mercoledì 3 novembre 2010

Al via il road show informativo sull’atomo

Il dibattito sul nucleare entra nelle università italiane: è partito la scorsa settimana il road show informativo sul tema del ritorno all’energia atomica, organizzato da Enel ed Edf in collaborazione con i principali atenei del nostro Paese. Il progetto, dal titolo “L’energia nucleare accende la ricerca”, andrà avanti fino a maggio 2011 e comprende dieci tappe: la prima è stata Genova, le prossime saranno Palermo e Torino. Argomenti principali del road show genovese sono stati medicina e tecnologia in ambito nucleare. Obiettivo dell’evento è promuovere nel mondo accademico una nuova cultura del nucleare, evidenziandone le opportunità sia in termini di incremento della ricerca che in genere occupazionali.

Gli studi sull’atomo, pur con fortune alterne, in realtà non si sono mai interrotti: in Italia oggi gli studenti e i dottorandi che completano il loro ciclo di studi sui temi nucleari sono circa 80-100 l’anno e finora la maggior parte di loro è stata successivamente impiegata all’estero. I docenti e i ricercatori dei tre settori scientifici caratteristici legati all’energia atomica (fisica del reattore nucleare, impianti nucleari, strumentazioni e misure nucleari) sono, invece, circa 70. I corsi di laurea in ingegneria nucleare, o in ingegneria energetica con percorsi di formazione sul nucleare sono presenti in diversi atenei, dal Politecnico di Milano e di Torino all’Università di Pisa, dall’università di Padova alla Sapienza di Roma, fino alle Università di Palermo, Bologna e Pavia.

Nella stessa Genova è attivo dal 2009 il Master di II livello in "Scienze e Tecnologie degli impianti nucleari".Tuttavia non c’è dubbio che il ritorno all’atomo renda ancora più necessario rispetto al passato formare nuove figure da impiegare in diversi campi: non solo ingegneri nucleari, ma anche economisti, giuristi, tecnici specializzati, periti, sociologi…

L’iniziativa, a mio avviso, raggiunge due obiettivi important: innanzitutto fornire un quadro completo delle tante possibilità occupazionali legate al nucleare, ma anche contribuire a parlare correttamente di energia atomica, in una fase in cui spesso e volentieri se ne parla in maniera sbagliata.

martedì 2 novembre 2010

Beppe Grillo e le sue inchieste: occhio alle “bufale”


Leggevo in rete un’intervista del giornalista Paolo Attivissimo a Stefano Montanari, ricercatore modenese, autore di uno studio diffuso qualche anno fa da Beppe Grillo. Il comico genovese, si sa, è diventato celebre proprio grazie all’“irruenza” dei suoi interventi e alle sue inchieste. Non sempre, c’è da aggiungere, basate su presupposti completamente verificabili. Come in questo caso: la ricerca affermava che, all’interno di alcuni prodotti alimentari, erano state trovate particelle di metalli pesanti, altamente cancerogene, provenienti dal fumo dei termovalorizzatori. Lo studio era accompagnato anche da una lista dei prodotti “incriminati” e delle relative marche.

Ebbene, dall’intervista si comprende chiaramente come Grillo abbia ignorato o presentato in maniera distorta alcuni aspetti dello studio, tutt’altro che secondari. Una prima osservazione riguarda la metodologia della ricerca: sono stati analizzati singoli lotti di prodotti diversi, senza considerare più quantità dello stesso prodotto. Ora, pur non essendo un esperto di studi scientifici, mi sembra un po’ difficile arrivare a delle conclusioni generali sulla base di un singolo campione esaminato.

Nel diffondere la ricerca, poi, Grillo ha dato alcune informazioni, prontamente smentite da Montanari: innanzitutto i due ricercatori non hanno mai segnalato nessuna azienda, ma solo denunciato la presenza di prodotti “inquinati”, così c'è mai stata nessuna lettera indirizzata alle ditte interessate, al contrario di quanto detto dal comico.Lo studioso ha, inoltre, precisato che queste polveri non arrivano solo dai termovalorizzatori, ma anche da traffico, cementifici, fonderie, mentre Grillo aveva utilizzato la ricerca a sostegno della sua battaglia contro gli inceneritori.

Insomma, il comico è stato senz’altro utile per informare sull’esistenza dello studio, ma poi tante notizie non sono state diffuse nel modo più corretto e “scientifico” possibile. A spiegarlo è lo stesso Montanari: “Allora guardi, per noi Beppe Grillo è stato essenziale, perché io ero assolutamente sconosciuto, ma questo non aveva nessuna importanza, il problema è che era sconosciuto il problema, cioè nessuno sapeva che noi facevamo queste ricerche… Quindi Beppe Grillo per noi è stato essenziale, nel senso che ci ha fatto conoscere, poi diciamo che, se qualcuno da Beppe Grillo si aspetta delle informazioni scientifiche, beh, forse ha sbagliato fonte: Beppe Grillo è un comico che riempie i palasport però, ecco, al limite può suscitare l'interesse, però poi chi è veramente interessato bisogna che si rivolga ad altre fonti, perché Beppe Grillo non può essere una fonte di informazione scientifica, non può avere le caratteristiche di questo, però diciamo che per noi è stato molto utile, perché ci ha fatto conoscere. Poi l'informazione è uscita come è uscita, però, insomma adesso cerchiamo di mettere una pezza alle informazioni distorte”.

Sarebbe opportuno, insomma, che i fan di Beppe Grillo andassero a verificare le sue notizie, prima di gridare allo “scandalo”. Soprattutto quando si parla di questioni “delicate”, che si tratti di termovalorizzatori così come di nucleare, tema di cui il comico ha ripreso a parlare di recente.