giovedì 31 marzo 2011

Barack Obama è per il nucleare e le energie rinnovabili

Diminuire di un terzo, nei prossimi dieci anni, l’importazione di greggio dall’estero. Arrivare al 2025 con un’America sempre meno dipendente dall’oro nero, dalle crisi politiche mediorientali, dall’aumento del prezzo del petrolio per guerre e speculazioni varie. Questo uno degli obiettivi di Barack Obama.

Il presidente ha esposto il suo ambizioso programma in un discorso alla Georgetown University. Un’agenda energetica che potremmo definire controcorrente. Non solo perché rilancia gli investimenti sulle energie rinnovabili, ma anche perché, mentre tutto il mondo s’interroga sul destino dell’atomo, fa riemergere con forza l’idea che gli americani debbano puntare sulle centrali nucleari per avere l’energia necessaria per il futuro.

Nonostante Fukushima, nonostante il dramma della centrale atomica giapponese abbia posto quesiti a tutti i governi sulla sicurezza dell’energia nucleare, il presidente americano non cambia la rotta tracciata fin dalla (ormai) lontana campagna elettorale e ribadita in diverse occasioni, ultima delle quali il Discorso all’Unione dello scorso gennaio, quando annunciò l’obiettivo di passare dall’attuale 40% di energia prodotta da fonti pulite all’80% entro il 2035.

E, tra queste, oltre al vento, al sole e all’idrogeno, Barack Obama colloca l’energia nucleare. “Credo nella sicurezza degli impianti americani” - ha detto il presidente alla Georgetown University. E nelle potenzialità dell’atomo, fonte energetica che, nonostante il dramma giapponese, non possiamo togliere dal tavolo”.

Per lui, la priorità è diminuire la dipendenza dal petrolio. Farlo, non solo per evitare di essere appesi agli instabili equilibri del Medio Oriente, ma anche per lasciarsi alle spalle l’incubo della Macchia Nera del Golfo del Messico; le pressioni della lobby del greggio per avere i permessi di trivellazione in paradisi naturali come l’Alaska; per evitare l’altalena del prezzo della benzina, che ora ha raggiunto il quasi record di 3 dollari e 58 al gallone.

Da Panorama

mercoledì 23 marzo 2011

Stress test per le centrali europee

In seguito all'incidente nella centrale giapponese di Fukushima Daiichi, l'Unione Europea ha deciso di procedere a nuovi controlli di sicurezza sulle proprie centrali: nei 143 reattori in attività nell'Unione Europea saranno condotti "stress test", cioè verifiche per valutare la resistenza degli impianti in condizioni estreme. Gli stress test sono stati al centro del consiglio straordinario dei ministri dell'energia dei 27 Paesi membri, il 21 marzo a Bruxelles.

La proposta dei test è venuta dal commissario europeo all'energia Günther Oettinger e ha ricevuto l'apprezzamento di tutti i Paesi: «Per il momento tutti i Paesi hanno detto che parteciperanno, perché è interesse di tutti», ha dichiarato Oettinger.

Non è stato però raggiunto un accordo sull'obbligatorietà dei test, che saranno dunque facoltativi. Oettinger si è detto però ottimista sulla possibilità che tutti gli Stati membri intraprendano i test nella seconda metà del 2011.

I criteri in base a cui eseguire i test non sono stati ancora stabiliti, a causa delle profonde differenze tra i singoli Paesi sia dal punto di vista delle politiche nucleari, sia per quanto riguarda le tipologie degli impianti.

«Tutti mirano a standard comuni di sicurezza per minimizzare i rischi. Nelle prossime settimane, i Paesi membri e la Commissione elaboreranno un elenco dei criteri generali per la sicurezza con cui andremo nelle 143 centrali nucleari dei Paesi dell'Unione Europea per le verifiche», ha affermato Oettinger, esprimendo l'auspicio che i controlli siano effettuati anche nelle centrali dei Paesi confinanti con l'Unione Europea, come la Svizzera e l'Ucraina.

Gli aspetti relativi alla sicurezza dovranno comunque comprendere la progettazione dei diversi modelli di reattori, la loro durata di vita, i sistemi di emergenza, la resistenza a terremoti, inondazioni, attacchi terroristici e addirittura impatti di aerei.

Al termine dell'incontro il presidente del Consiglio energia, il ministro ungherese Tamás Fellegi, ha ricordato l'importanza cruciale dell'informazione al pubblico e della trasparenza: «La comunicazione è parte integrante della politica energetica. Tutto quanto facciamo in questo campo deve essere trasparente, i cittadini devono essere informati sulla situazione reale, perché mantenere la fiducia è importante non solo a livello di singoli Paesi ma a livello europeo: i rischi potenziali non si fermano ai confini».


Nuclear News

giovedì 10 marzo 2011

Romani e Conti accelerano sul nucleare

La crisi libica e l'impennata del petrolio riportano la necessità di diversificare le fonti di energia al centro del dibattito. E rilanciano la necessità del nucleare, in Italia osteggiato, ma allo stato attuale uno dei migliori modi per sfuggire alla dittatura dell'oro nero. Ieri l'ad di Enel Fulvio Conti ha ribadito la necessità di non mollare i progetti italiani per il ritorno dell'atomo. «L'Italia non è fuori tempo massimo per vedere la prima centrale nucleare realizzata entro il 2020: ma da adesso in poi, per raggiungere l'obiettivo, non sarà più possibile indugiare e bisognerà stringere sia sull'Agenzia per la sicurezza che sugli adempimenti amministrativi» ha detto Conti, davanti alla Commissione Bilancio della Camera. L'ad del gruppo elettrico ha anche messo però qualche paletto. «Se entro fine anno sarà completata la parte amministrativa e ci sarà la piena funzionalità dell'Agenzia per la sicurezza nucleare sarà ancora possibile avere la prima centrale entro il 2020, come previsto», ha spiegato Conti, assicurando quindi che «nonostante il ritardo accumulato, non siamo fuori tempo massimo». Certamente, gli adempimenti da portare a termine non sono pochi. E proprio ieri il ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, ha parlato di «accelerata», ricordando che è stato approvato il regolamento per la scelta dei siti per recepire la recente sentenza della Corte Costituzionale che coinvolge le Regioni: «Gli operatori chiederanno alle Regioni la possibilità di individuare il sito e le Regioni, con il ministero e l'Agenzia, diranno se quel sito va bene o male», ha spiegato il ministro. È proprio questo il tema su cui concentrarsi l'anno prossimo, ha sottolineato Conti, secondo cui, per rispettare la tabella di marcia, è vitale che gli iter autorizzativi partano entro il 2012.

Fonte - Il Tempo

lunedì 7 marzo 2011

Il Canada finanzia un nuovo centro di ricerca

La provincia del Saskatchewan (Canada centro-occidentale) ha stanziato 30 milioni di dollari (22 milioni di euro) in 7 anni per creare un nuovo centro di ricerca nucleare presso l'Università del Saskatchewan di Saskatoon. Lo ha annunciato il 2 marzo Brad Wall, capo del governo provinciale.

Il progetto riguarda in particolare la ricerca nell'ambito medicina nucleare, della scienza dei materiali e della radiochimica. Per quanto riguarda le applicazioni industriali, si occuperà dello sviluppo dei piccoli reattori modulari: un progetto che secondo molti potrebbe rappresentare il futuro dell'energia nucleare.

Secondo Wall il nuovo centro permetterà al Saskatchewan di riconquistare la posizione di avanguardia nella ricerca nucleare che aveva avuto per decenni. Walll ha ricordato infatti che proprio nell'Università del Saskatchewan, all'inizio degli anni Cinquanta, gli scienziati avevano sviluppato una delle prime terapie nel campo della medicina nucleare: un trattamento contro il cancro a base di cobalto 60, ancora oggi largamente usato in tutto il mondo.

«Con questo nuovo entusiasmante centro di ricerca multidisciplinare, la nostra università farà fruttare le proprie risorse storiche. Diventerà un centro di eccellenza a livello internazionale per la ricerca, l'innovazione e la formazione nel campo dell'energia nucleare, ma anche per gli studi sui suoi aspetti sociali e ambientali. Potremo ingaggiare nuovi ricercatori, finanziare borse di studio e in generale creare opportunità di ricerca a livello di avanguardia», ha dichiarato il rettore Peter MacKinnon.

L'Università del Saskatchewan dispone già di varie apparecchiature di ricerca nucleare: il Canadian Light Source synchrotron, il reattore di ricerca Slowpoke e il reattore sperimentale a fusione STOR-M.

Il Saskatchewan, con una popolazione di un milione di abitanti, ha una produzione di 10.000 tonnellate di uranio all'anno. La vocazione nuclearista della provincia coinvolge anche il mondo politico e industriale: pur non avendo centrali nucleari, è fra i candidati per ospitare il deposito nazionale di scorie. Inoltre le ricerche che saranno condotte nel nuovo centro potranno creare opportunità commerciali.

Fonte: NuclearNews

giovedì 3 marzo 2011

Veronesi: "Senza nucleare l’Italia è un Paese morto"

Vista con gli occhi di Umberto Veronesi, la questione del ritorno all’atomo è estremamente semplice. «Senza il nucleare l’Italia muore. Tra 50 anni finirà il petrolio, tra 80-100 il carbone, seguito poi dal gas. Altre fonti non saranno sufficienti a fornire l’energia di cui abbiamo bisogno. Il risultato? Non avremo la luce, non potremo far funzionare i computer o i frigoriferi e neppure far viaggiare i treni. Se lo immagina?».

Se questa è la (apocalittica) premessa, non è difficile capire perché il medico più famoso d’Italia, a 85 anni, abbia deciso di abbandonare il Senato e accettare la presidenza dell’Agenzia per la sicurezza nucleare. L’incarico - c’è da scommetterci - porterà con sé una cospicua dote di polemiche, ma Veronesi non ha dubbi che il piano possa realizzarsi senza pericoli per le persone e l’ambiente.

Professore, recenti sondaggi dicono che la maggioranza degli italiani è contraria al nucleare. Non la preoccupa andare controcorrente?
«No, anzi, la conflittualità mi stimola. Sono abituato ad affrontare problemi scabrosi. L’importante è essere sicuro che la scelta che faccio sia moralmente corretta».

E in questo caso lo è?
«Assolutamente sì. Come oncologo conosco molto bene le radiazioni e i modi per proteggere i pazienti. Voglio dedicare i prossimi anni ad assicurare i cittadini che non corrono rischi».

Conoscerà altrettanto bene le contestazioni mosse dal fronte degli oppositori, vero? «Guardi, ci sono essenzialmente tre problemi per quanto riguarda un reattore nucleare. Primo, garantire la sicurezza nel funzionamento ordinario, obiettivo non difficile. Poi c’è la questione delle scorie e mi creda, nessuno mai è morto per inquinamento da scorie. Infine c’è il fattore umano, la possibilità di poter disporre di personale qualificato è fondamentale. Basta pensare che i due grandi incidenti nelle centrali nucleari hanno avuto una caratteristica comune: sono dipesi da errori umani. E’ stato così a Three Mile Island, negli Usa, come a Cernobyl».


C’è chi sostiene che le tecnologie scelte dall’Italia per le nuove centrali rischino di risultare superate una volta che gli impianti entreranno in funzione. Come risponde? «Ma noi non abbiamo ancora fatto una scelta definitiva, per cui l’obiezione non è fondata. E poi, una centrale è studiata per durare da 60 a 100 anni. Se anche ne trascorrono 10 per averla operativa, certo non potrà essere considerata vecchia».

Torniamo al primo problema che lei ha sollevato, il funzionamento del reattore. Gli ambientalisti ripetono che, pure in condizioni di normalità di un impianto, ci sono piccole dispersioni che creano conseguenze per la salute. E’ vero?
«E’ un’invenzione assoluta. Non esce nulla. Meglio, esce dell’acqua, che può avere minime quantità di radiazioni, ma molto inferiori anche rispetto al livello di legge. Non crea problemi».

Resta la delicatissima questione delle scorie e di come smaltirle. Quando nel 2003 il governo individuò Scanzano Jonico come sede del deposito nazionale, ci fu una sollevazione popolare. Come pensa di affrontare questo aspetto?
«Il discorso è complesso, provo a ridurlo all’essenziale. Solo una piccola parte delle scorie richiede millenni per depotenziarsi completamente. Vanno messe in sicurezza, e ci sono le soluzioni per farlo, dentro una montagna o a grandi profondità. Al tempo stesso, si stanno affinando tecniche per renderle innocue più in fretta. Soprattutto, l’Italia potrà non avere depositi di scorie pericolose».

In che senso?
«Si tende a individuare un unico sito per Continente. In Europa ci sono tre soluzioni allo studio, tutte fuori dai nostri confini. Ma il punto vero è che le scorie sono sì un problema serio e costoso, ma non devono spaventare. Non si sorprenda se dico che c’è più radioattività in un ospedale. O ancora, lo sa che c’è uranio anche in un bicchier d’acqua? ».

Ma tra un bicchier d’acqua e una centrale esiste una bella differenza. La realtà è che c’è ancora paura fra la gente. Questo non conta?
«Ho trascorso la mia vita a combattere le paure ingiustificate. Soltanto 40 anni fa in Italia c’era ancora il timore a usare il forno a microonde, per non dire di quando cominciò a girare la storia che il pane congelato in freezer fosse cancerogeno. Assurdità, lo sappiamo. Ma voglio dire che spesso la paura è frutto di ignoranza. Sono timori vaghi, confusi, sui quali giocano alcuni movimenti politici. Il risultato? Non si possono usare gli Ogm, non si fa la Tav, si bloccano i termovalorizzatori... ».

Le fonti rinnovabili non possono essere un’alternativa?
«Sarebbe bellissimo, ma dobbiamo intenderci. Dalle biomasse può arrivare l’1-2% del fabbisogno italiano, così come dalla geotermica. L’idroelettrica è praticamente già al massimo. L’eolica? Procede, ma abbiamo poco vento e bisogna pensare anche al paesaggio e al turismo. E se comunque, per assurdo, riempissimo la penisola di pale, arriveremmo a coprire il 10-15%. Resta il solare, io sto giusto mettendo un impianto nella mia casa in campagna. Ma è questa la dimensione, va bene per le famiglie, non per una grande fabbrica».

Lei, pur non essendo iscritto, è stato eletto nelle fila del Pd, un partito contrario al nucleare. Ha provato imbarazzo per questa diversità d’opinione?
«Difendo le mie posizioni di uomo di scienza. So che nel Pd c’è chi ha idee diverse, lo rispetto, ma restiamo distanti. Comunque, non è per questo che mi sono dimesso da senatore».

Così come nel 1987, c’è ancora un referendum che può bloccare il nucleare in Italia. Teme il voto?
«Le rispondo con una battuta. Se dovessero prevalere i contrari, io avrei più tempo libero per dedicarmi alla famiglia e ai miei interessi. Peccato che a rimetterci sarebbe il Paese».


Fonte - La Stampa