lunedì 29 novembre 2010

Il referendum del 1987 e la scelta di "spegnere" il nucleare. Ma anche no

«In realtà» afferma Adriano De Maio, ex rettore del Politecnico di Milano e della Luiss di Roma ed ex commissario del Consiglio nazionale delle ricerche, il referendum al quale gli italiani sono stati chiamati a votare nel 1987, «non chiedeva affatto alla popolazione di chiudere le centrali, che allora erano quattro e tutte di buona qualità, né di bloccare quelle future, come Montalto di Castro, che sarebbe entrata in funzione proprio nel 1987, né di rinunciare a qualsiasi studio e sviluppo e a un settore industriale nel quale avevamo una presenza consolidata. Si sfruttò l’onda emotiva per fini politici, come se oggi si chiedesse di rinunciare alla benzina per l’incuria della Bp nel Golfo del Messico».

I tre quesiti del 1987 chiedevano di abrogare due articoli minori di una legge del 1983 sulla localizzazione delle centrali e rimborsi ai comuni, e uno della legge istitutiva dell’Enel del 1973 che consentiva di partecipare alla gestione di centrali atomiche all’estero. Fu nell’88 che i governi di Giovanni Goria e Ciriaco De Mita decisero di modificare il piano energetico nazionale (Pen) decretando una «moratoria nell’uso del nucleare quale fonte energetica».

In nessun momento ci si chiese quale sarebbe stato l’impatto sull’economia, sulla dipendenza energetica, oltre che sulla stessa salute per la rinuncia allo studio di impianti più moderni e sicuri. «Insomma, non si sottoposero ai cittadini i costi del non fare» dice De Maio. «Neppure ora bisogna essere approssimativi né banali, se però ci si fa prendere la mano da analisi non metodologicamente corrette, allora conviene rivolgersi agli sciamani».

Da un articolo pubblicato su Panorama

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