giovedì 28 ottobre 2010

Perchè è sbagliato dire di no al Nucleare

Leggevo ieri un articolo pubblicato su Europa dal titolo significativo: “Perché è sbagliato dire no al nucleare”. Effettivamente si tratta di una sintesi, devo dire fatta molto bene, delle principali questioni legate al nucleare e di come non sia giusto chiudere le porte all’atomo, in virtù dei suoi tanti vantaggi.Secondo l’autore, l’ostilità del centro-sinistra (tra l’altro area di appartenenza del giornale) nei confronti del nucleare è sbagliata per tutta una serie di ragioni. Che vengono chiaramente spiegate.

A partire dal discorso costi: spesso si dice che le centrali hanno costi di costruzione troppo alti. Il prezzo di costruzione di una centrale di più di 1000 Mw è fissato dalla letteratura internazionale tra i 3000 e i 3500 euro a kwh per i reattori più innovativi. Tuttavia, “il costo di una centrale nucleare è per oltre il 70% costituito da impianti e costi fissi (capital cost). Cioè di fattori che non risentono nel tempo di alcuna volatilità. Nelle fonti fossili, al contrario, il 70% del costo è dovuto al prezzo del combustibile (tra il 5 e il 10% nel nucleare) che è volatile e imprevedibile.E nelle fonti rinnovabili (ma nessuno lo dice) il capital cost raggiunge il 90%: superiore, quindi, a quello del nucleare. Inoltre una centrale nucleare oggi ha un ciclo di vita di 60 anni (la media delle fonti fossili e rinnovabili è 30 anni)”.

Ai costi di costruzione vanno, poi, sommati altri fattori (esercizio, combustibile) che insieme determinano il costo di generazione del kwh, che determina la competitività delle fonti energetiche. Anche in questo caso il nucleare risulta più conveniente, alla luce di alcuni aspetti, come la lunga vita dei reattori (il doppio delle altre fonti); l’alto fattore di capacità (la resa energetica per unità di combustibile), il numero elevato di ore di funzionamento (oltre 8000 ore anno); il basso livello di “costi esterni” (emissioni, incidenti, rifiuti prodotti) comparato con le fonti fossili”. Risultato: il costo medio del kwh nucleare è quantificabile oggi tra i 40 e 65 euro a Mwh, quello del Mwh a ciclo combinato a gas è del 37% più alto del nucleare e quello delle centrali ad olio è il 53% in più. Per le rinnovabili si parla, invece, di 80 euro per il Mwh eolico e 140 per il fotovoltaico.

I punti di forza del nucleare non sono, però, legati solo ai costi, ma anche alla sua capacità di attirare investimenti nazionali ed esteri e di creare occupazione. Sul primo aspetto l'energia atomica “incoraggia investimenti esteri perché i possessori delle tecnologie nucleari chiave sono grandi gruppi multinazionali; richiede, però, una filiera di offerta nazionale che dovrà consorziarsi e aumentare le sue dimensioni di impresa”.

Sui risvolti occupazionali basta dire che, limitandosi solo alla fase della costruzione (7-9 anni), una centrale nucleare di nuova generazione porta circa 9000 posti di lavoro per cinque anni nella fase costruttiva e 1300, tra diretti e indiretti, in quella di esercizio. Cifre che vanno ovviamente moltiplicate per 8, quanti sono gli impianti che si prevede di realizzare in Italia.
Facendo qualche conto, chi ne guadagnerebbe se non tutto il nostro Paese?

mercoledì 27 ottobre 2010

Emilia-Romagna: la regione boccia il nucleare, le aziende lo difendono

Il Consiglio regionale dell’Emilia-Romagna fa muro contro il nucleare. Nella giornata di ieri è stata approvata una risoluzione del Pd che impegna la Regione a dichiarare indisponibile il territorio alla realizzazione di impianti nucleari. Il provvedimento chiede anche la conclusione dello smantellamento della centrale di Caorso, meglio nota come “Arturo”, la struttura più grande e recente realizzata in Italia. La risoluzione punta, inoltre, all’adozione di un sistema che valorizzi il fotovoltaico e le altre rinnovabili.

La decisione arriva dopo le voci che parlano dell’individuazione di siti per le nuove centrali proprio a Caorso e a Viadana, nel mantovano, ma a pochi chilometri dal confine con l’Emilia.
Bisogna constatare come ancora una volta, pur non essendo stata data nessuna comunicazione “ufficiale”, siano già partite le polemiche, alimentate, come spesso accade, dallo scontro politico. E come di nuovo si rinnovi l’opposizione nucleare - rinnovabili, concepite come alternativa più sicura e “pulita” all’atomo. In questa circostanza la cosa che sorprende di più è, però, un’altra: solo lunedì ben 37 imprese della Regione hanno manifestato il proprio interesse per l’energia atomica nel corso del Supply Chain Meeting, organizzato da Enel, Unindustria Bologna e Confindustria Emilia - Romagna per organizzare la riqualificazione industriale in vista del ritorno al nucleare.

Durante l’incontro, più di una volta si è parlato dell’importanza dell’atomo sotto il profilo economico e occupazionale. Ieri, invece, la Regione ha detto “no” all’ipotesi centrali. Da un lato, quindi, la fiducia in un’opportunità di crescita e di progresso, dall’altra un deciso stop al nucleare. È giusto che ognuno abbia una propria opinione sull’argomento, ma sarebbe anche opportuno che si riflettesse un po’ di più prima di chiudere le porte a una possibilità di sviluppo per la Regione e per tutto il Paese.

martedì 26 ottobre 2010

Le aziende che dicono sì al nucleare

Si è svolto ieri a Bologna il Supply Chain Meeting, evento organizzato da Enel, Unindustria Bologna e Confindustria Emilia-Romagna per illustrare alle aziende del centro – nord (Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Marche) il processo di coinvolgimento e qualificazione dell’industria nei progetti con tecnologia EPR. Sono 68 le imprese delle regioni interessate intervenute all’incontro, di cui ben 37 solo dell’Emilia-Romagna. Si tratta del quinto appuntamento dopo i quattro già realizzati nel corso dell’anno a Torino, Venezia, Brescia e Milano.

Il lavoro di mappatura delle competenze italiane in materia costituisce il primo passaggio di un percorso che porterà alla successiva fase di qualificazione delle aziende (in base a determinati requisiti tecnici, qualitativi, economico-finanziari e legali), per arrivare infine all'invito alle gare di appalto. Attualmente le imprese dell’Italia centrale e settentrionale registrate rappresentano circa il 13% del totale delle aziende italiane, a testimonianza del grande interessamento nei confronti del piano nucleare.
Nel corso dell’incontro sono state evidenziate le criticità dell'Italia sotto il profilo energetico, in primis la dipendenza dall’estero, sottolineando proprio la necessità di un ritorno all’atomo: “Nel nostro Paese - ha spiegato il presidente di Unindustria Maurizio Marchesini - viviamo un estremo paradosso. Non abbiamo centrali nucleari, ma siamo il maggior importatore di questa fonte di energia che recuperiamo da Paesi anche molto vicini ai nostri confini. Nei prossimi vent'anni il fabbisogno energetico aumenterà in maniera esponenziale e c'è l'urgenza di una sinergia tra i diversi canali di approvvigionamento. E' controproducente imbastire un'antitesi fra energie rinnovabili e atomo”.

Per questo è fondamentale investire, sia sotto il profilo economico, ma anche sotto quello della formazione, come ha sottolineato il presidente di Enel Piero Gnudi. E, a quanto pare, le nostre aziende sembrano pronte per la sfida. Il fatto che ci sia stata una grande partecipazione indica proprio la conoscenza dei vantaggi che il nucleare può portare sia in termini di profitto che occupazionali. A riguardo, si prevede che la realizzazione di ciascuno dei 4 reattori EPR determini l’impiego di 2.500 persone nella fase di cantiere (circa 5 anni), mentre, una volta in esercizio, si stima che ogni impianto darà occupazione stabile, diretta e indiretta, a circa 500 persone per i 60 anni di vita utile. Inoltre, dal ritorno al nucleare, si attendono almeno 2.000 nuovi posti di lavoro qualificati per i tecnici nucleari italiani entro il 2013.
È importante, ora, che questa consapevolezza già presente nella nostra classe imprenditoriale si inizi a diffondere anche tra chi, invece, è ancora scettico sulle potenzialità del nucleare.

lunedì 25 ottobre 2010

Il nucleare, costi e studi a confronto

Con il nucleare i costi delle nostre bollette potrebbero aumentare. Ad affermarlo è uno studio presentato dal presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile ed ex ministro dell’Ambiente Edo Ronchi, nel corso di un incontro che si è tenuto a Montalto di Castro, nel Lazio. Secondo l’'indagine, l'elettricità prodotta da centrali nucleari costa 72,8 euro a Megawattora (MWh), il 16% in più di quella prodotta da centrali a gas (61 euro/MWh) e il 21% in più di quella delle centrali a carbone (57,5 euro/MWh). Ronchi ha poi concluso che “il nucleare sarà significativamente più costoso e non regge la concorrenza né delle centrali a gas, né di quelle a carbone”.
I dati, rimbalzati velocemente su diversi quotidiani e testate web, sono stati subito contestati dal consigliere regionale del Lazio Francesco Pasquali (Pdl), che ha criticato la metodologia che ha portato ai risultati.“ Prendendo studi come quelli citati, costruiti su assunti diversi tra di loro, anche a livello di prezzi dei combustibili, e facendo una media poco trasparente tra cose molto diverse non si riporta un dato scientifico ma si prendono in giro le persone”.
Tralasciando il botta e risposta politico, che probabilmente continuerà anche nei giorni successivi, bisogna essere un po' ’cauti prima di trarre conclusioni affrettate da queste cifre e di parlare di “nucleare più costoso di altre fonti energetiche”.Innanzitutto perché Ronchi non cita altre fonti, come le rinnovabili, che godono di cospicui incentivi statali, destinati, tra l’altro, ad aumentare. Pochi giorni fa, infatti, il presidente dell’Autorità per l’energia e il gas Alessandro Ortis ha previsto che queste cifre, attualmente pari a 3,4 miliardi di euro, arriveranno prevedibilmente a 3,9 nel 2011. A farne le spese saranno, ovviamente, gli utenti finali, che pagano non poco una fonte energetica con un’incidenza limitata sul fabbisogno energetico nazionale.
Poi, anche volendo limitare il discorso alle sole fonti “tradizionali”, c'’è comunque qualcosa che non va: anche senza il nucleare l’Italia è “maglia nera” in tutto il continente europeo per i costi dell’'energia elettrica. A sostenerlo è uno studio della società di consulenza americana Nus Consulting, riferito al periodo giugno 2009-giugno 2010, ripreso da Repubblica lo scorso settembre. Secondo l’'analisi, la differenza più forte tra le cifre delle forniture elettriche emergeva proprio dal confronto con la Francia, che ha all’attivo 60 centrali nucleari, grazie alle quali copre circa il 76% della propria generazione elettrica (dati IAEA 2009). A segnare il divario, quindi, sono proprio le altre fonti energetiche, che risentono dei costi di importazione, che ovviamente verrebbero meno nel caso di un nostro ritorno al nucleare.
A questo punto risulta un po’' complicato concludere con certezza che sarà proprio il nucleare la causa dell’'impennata dei costi della nostra elettricità.

venerdì 22 ottobre 2010

Triga e Tapiro, i due reattori alle porte di Roma

In questi giorni diverse Regioni italiane, fra cui il Lazio, si stanno muovendo a livello politico per impedire che le prossime centrali nucleari italiane siano costruite sul proprio territorio.

Eppure, a 28 chilometri da Roma, il 20 ottobre sono ritornati a funzionare due reattori nucleari. Si chiamano Triga e Tapiro, sono reattori di ricerca e si trovano nel centro Centro Ricerche Casaccia dell'Enea: proprio in occasione del cinquantesimo anniversario del centro sono stati riavviati dopo un periodo di manutenzione. Alla cerimonia hanno preso parte scienziati e rappresentanti del mondo politico.

«Il riavvio dei due reattori Enea è un primo passo delle prove in sicurezza per il ritorno al nucleare in Italia. È una tecnologia collaudata da decenni in cui il nostro Paese ha avuto il primato fino alla fine degli anni Ottanta», ha commentato il sottosegretario allo sviluppo economico Stefano Saglia.

I due reattori hanno una potenza irrisoria: 1 MW Triga, addirittura solo 5 kW Tapiro. A differenza delle centrali dismesse, sono stati utilizzati anche dopo l'uscita dell'Italia dal nucleare, ma solo a scopo di ricerca. Più precisamente, Triga (Training, Research, Isotopes, General Atomics) è stato adibito soprattutto alla medicina nucleare, mentre Tapiro (Taratura Pila Rapida a potenza zero) è stato usato soprattutto nel campo della fisica nucleare: per esempio per studiare il danneggiamento di alcuni dispositivi del Large Hadron Collider, il gigantesco acceleratore di particelle del Cern di Ginevra.

Da ora però i due reattori saranno destinati anche alla ricerca in vista delle future centrali e alla formazione del personale. Un comunicato dell'Enea spiega che «anche dopo l'uscita dell'Italia dal programma nucleare, il Centro non ha mai abbandonato la sua iniziale vocazione. In tutti questi anni ricercatori e tecnici hanno continuato a lavorare all'interno di infrastrutture di ricerca e impianti di qualificazione industriale, mantenendo quell'insieme di conoscenze e competenze che rappresentano oggi un patrimonio di invidiabile valore».

giovedì 21 ottobre 2010

Quanta energia ci serve?

Qualche giorno fa il ministro dello Sviluppo Economico Paolo Romani ha evidenziato la possibilità di collocare in Lombardia uno dei futuri reattori nucleari italiani. Parole che hanno inevitabilmente scatenato reazioni, riproponendo la classica spaccatura tra favorevoli e contrari. Tra le varie repliche è arrivata anche quella del governatore della Regione Roberto Formigoni, che ha rispedito la proposta al mittente spiegando che “la Lombardia ha praticamente raggiunto l’autosufficienza energetica e in questo momento non ha bisogno di centrali di alcun tipo”. Formigoni, tuttavia, non si è dichiarato contrario al nucleare in assoluto, ma ha sottolineato la necessità di impostare un discorso a livello nazionale e di aprire, poi, un confronto con le Regioni dopo la definizione dei criteri per l’individuazione delle centrali. In sintesi: sì al nucleare, ma preferibilmente non in Lombardia.

Tralasciando un attimo le classiche argomentazioni sul’energia atomica, condivisibili o meno, mi sembra opportuno in questo caso citare dei dati sul fabbisogno energetico delle regioni italiane diffusi da Terna, relativi allo scorso anno. Dall’analisi emerge che la regione con il deficit energetico più elevato in termini assoluti è proprio la Lombardia.

Dati alla mano, nel 2009 il deficit di energia elettrica della Regione è stato di -21.082 GWh, in aumento rispetto al 2008, quando la cifra era di -17.229 GWh. Quello dell’Italia si è assestato, invece, a -44.959 GWh. È difficile pensare che nel 2010 la situazione si sia completamente ribaltata, in quanto in un anno la Lombardia avrebbe dovuto colmare completamente questo divario.

Senza voler approfondire ulteriormente il discorso sui dati, si possono fare alcune osservazioni: ricerche come questa saranno probabilmente contestate da altri studi che affermano il contrario, ed è prevedibile che anche in questo caso accada così. Fatto sta che queste cifre esistono, arrivano da una fonte autorevole e sono in netto contrasto con quanto dichiarato, per cui a mio avviso è giusto che vengano citate, quantomeno per avere un quadro più completo. Inoltre non ha molto senso parlare di fabbisogno a livello di singole regioni, dato che la questione interessa il Paese nel suo complesso.

La Lombardia e l’intera Italia non solo non sono autosufficienti sotto il profilo energetico, ma il loro crescente fabbisogno è sempre più legato all’estero. Basta fare un semplice esempio: è notizia di questi giorni il rischio per il nostro Paese di restare a secco di gas. Ho letto, infatti, che l’interruzione del gasdotto che attraverso la Svizzera porta in Italia il gas del Nord Europa potrebbe determinare “effetti significativi sull’intero sistema italiano riportandolo indietro di 5 anni, a prima cioè che fosse costruito il rigassificatore di Rovigo e che fossero potenziati i gasdotti di importazione”.

Non c’è dubbio, quindi, che non si può continuare a seguire questa strada. È ora che l’Italia inizi a produrre energia "a casa propria" per non trovarsi in emergenza. Il discorso vale per il gas, come per le altre fonti. A riguardo, ben venga il mix energetico di nucleare e rinnovabili, l’importante è che il problema sia affrontato e risolto al più presto.

mercoledì 20 ottobre 2010

"Energia libera" per avvicinare i giovani ai temi caldi

Navigando per la rete, qualche settimana fa ho trovato questo nuovo magazine interamente dedicato all’energia, dal titolo “Energia libera”. Devo dire che mi ha incuriosito subito, non solo per il titolo accattivante e per i contenuti, che un appassionato di tematiche energetiche come me non può non apprezzare, ma anche per come è costruito. Il portale è organizzato in modo molto semplice e il linguaggio è chiaro, fatto proprio per i non “addetti ai lavori” e, nello specifico, per il target giovanile che affolla la rete (infatti è realizzato in collaborazione con Studenti.it, il popolare sito sul mondo dello studio e del lavoro) . Un tipo di impostazione secondo me azzeccatissimo, non solo perché ci troviamo in una fase in cui il tema energia è tornato di nuovo in primo piano, ma anche perché è importantissimo farlo conoscere ai giovani, che spesso non hanno le informazioni giuste e finiscono per parlare solo “per sentito dire”.

Mi riferisco in particolare al tema del nucleare: tra le varie sezioni del magazine (energie alternative, l’energia è vita, l’energia sta finendo) ce ne è anche una sull’energia atomica, “Nuke pro-contro”. L’intento, si legge nell’intestazione, è dare vita a “un’impostazione assolutamente neutrale senza alcuna posizione evidente Pro Energia Nucleare, funzionale all’attivazione di un dialogo costruttivo”. Credo che il sito centri in pieno quest’obiettivo, innanzitutto perché favorisce un effettivo dibattito: chiunque può commentare i post e condividere gli articoli sui social network, senza dimenticare che viene data anche la parola a esperti, che danno il loro prezioso contributo sull’argomento. I toni, poi, sono sempre bilanciati, abbandonando così l’allarmismo che spesso accompagna il tema nucleare. Insomma, parafrasando il titolo del magazine, finalmente un’ “energia libera” da pregiudizi e disinformazione!!

martedì 19 ottobre 2010

Che fine ha fatto il protocollo di Kyoto?

Brutte notizie per il nostro Paese sul fronte ambiente. Secondo un rapporto dell’Agenzia europea per l’ambiente (Aea), l’Italia non riuscirà a raggiungere al 2008/2012 il taglio del 6,5% delle emissioni di gas serra rispetto al 1990, obiettivo stabilito a Kyoto. Nello specifico, secondo il documento, che analizza i valori relativi al periodo 2008/09, in questo biennio nonostante la crisi economica le emissioni italiane sono state superiori dello 0,3% in rapporto a quelle del ‘90. Il dato, già negativo di per sé, appare ancora più rilevante se confrontato alla situazione dell’Unione Europea: un rapporto della Commissione ha allargato lo sguardo rispetto al documento Aea, arrivando a fare previsioni per tutto il quadriennio 2008/2012. Dall’analisi emergono dei dati significativi: prendendo come riferimento la Ue a 15, nel solo 2009 le emissioni sono state inferiori del 12,9% rispetto al 1990, in rapporto a un obiettivo del -8% per il tutto il periodo. Continuando su questa strada, la riduzione per il 2008/2012 arriverebbe al 14,2 %, quasi il doppio rispetto alla cifra prevista.

Non è necessario essere dei matematici per notare la netta differenza tra il nostro Paese e il resto dell’Europa: l’Italia è molto indietro ed è difficile che riuscirà a recuperare nel giro di due anni. A questo punto è doveroso fare un serie di considerazioni sulle ragioni di questo gap: una di queste va inevitabilmente a toccare la questione delle fonti di energia. Il nostro Paese è ancora fortemente dipendente dalle fonti fossili, come petrolio e carbone, che costituiscono la parte più consistente del nostro mix energetico. Qual è il legame tra queste risorse energetiche e le emissioni di CO2? È molto semplice: sono le più inquinanti e dannose per l’ambiente. Il fatto, poi, che emerga una netta sproporzione con il resto dei paesi Ue è sicuramente ricollegabile a questo dato: nella maggior parte dei paesi europei si fa ricorso in misura consistente ad altre fonti, come le rinnovabili, ma soprattutto il nucleare. Con il risultato che il valore delle emissioni di anidride carbonica si è ridotto notevolmente.

Bisognerebbe chiedersi allora perché anche in Italia non si adotta una strategia simile. Nel nostro Paese, infatti, le rinnovabili sono già presenti, con forti incentivi da parte dello Stato, che ha puntato sulle energie “pulite” proprio per il loro effetto positivo sull’ambiente. Ma evidentemente non basta. Con buona pace di tutti gli ambientalisti che continuano a combattere le loro battaglie a favore delle energie “alternative” e contro le restanti fonti energetiche. Le rinnovabili possono sicuramente contribuire, ma è chiaro che il loro impatto non è decisivo per le sorti del nostro effetto serra. E'evidente che aprire al nucleare potrebbe essere una valida soluzione: una fonte di energia quasi a zero emissioni di CO2 e soprattutto realizzabile su larga scala, cosa che con le rinnovabili è molto difficile da fare. Anche L’Italia ha deciso finalmente di percorrere questa strada, puntando su un nuovo mix energetico.

lunedì 18 ottobre 2010

Proteste e paure infondate: le bufale dell’energia italiana

Ormai è diventata quasi una moda. Appena in Italia si è ricominciato a parlare di nucleare, il numero dei comuni che hanno detto “no” a scorie e centrali è aumentato in maniera esponenziale. C’è di più: sempre più spesso questi comuni chiedono di diventare “denuclearizzati”.

L’ultimo è quello di Jesi, nelle Marche: il partito Sinistra ecologia e libertà locale ha, infatti, chiesto al sindaco di far entrare in vigore un ordine del giorno, approvato nel 2008, in cui impegnava l’amministrazione a installare scritte ai confini comunali, che dichiaravano la stessa città “comune denuclearizzato”. La proposta affonda le radici nel rifiuto del nucleare espresso nel 1987 per via referendaria, che oggi sarebbe stato ignorato dal piano del Governo. Un caso isolato? Nient’affatto: nella vicina Emilia - Romagna, a Castelnovo Monti, provincia di Reggio Emilia, è stata approvata in consiglio comunale una mozione che rende il territorio “indisponibile” ad accogliere impianti o scorie.

Sull’argomento ci sarebbero, però, un paio di osservazioni da fare. Limitandoci solo agli esempi elencati, se nel caso delle Marche la proposta potrebbe essere motivata dall’ipotesi di realizzare una centrale nucleare nei pressi di S. Benedetto del Tronto e un sito nella Vallesina o zone limitrofe per il deposito di rifiuti radioattivi (ipotesi comunque da verificare dato che al momento non c’è nessuna decisione ufficiale), in Emilia-Romagna la situazione è un po’ diversa.

Almeno per il discorso scorie: delle 52 aree individuate dalla lista Sogin per lo stoccaggio dei rifiuti nessuna si trova in quella Regione. La lista parla, infatti, di zone superiori ai 300 ettari e collocate in aree non sismiche, caratteristiche evidentemente non riscontrate in Emilia-Romagna. Il fatto che a sottolinearlo sia un consigliere del Pdl, poi, è significativo: “Le 52 aree geografiche idonee per lo stoccaggio di scorie non prevedono siti nel reggiano – ha dichiarato il consigliere regionale del Pdl Fabio Filippi - e il Governo non ha mai pensato a un'area del nostro territorio, come ben riscontrabile dalla mappa dell'Aiea (l'agenzia Onu per l'energia atomica). Il caso evidentemente è stato montato ad arte da un signor nessuno, particolarmente avvezzo al protagonismo. Una bufala totale».

Oltre ad essere infondate, quindi, queste proteste sono alimentate il più delle volte dalla politica, dimostrazione ulteriore di come il tema nucleare sia spesso utilizzato impropriamente come “arma” nello scontro tra partiti, piuttosto che essere analizzato nei suoi contenuti effettivi. Prima di fare proclami contro il nucleare, sarebbe opportuno, dunque, analizzare accuratamente il problema e soprattutto dare motivazioni serie alla protesta. Innanzitutto per non creare allarmismi ingiustificati, ma anche per evitare che tutto si riduca alla classica propaganda politica fine a se stessa.

venerdì 15 ottobre 2010

Veronesi alla guida dell'agenzia per il nucleare

Umberto Veronesi ha detto si' all'incarico di responsabile dell'Agenzia per la sicurezza nucleare. A rivelarlo è stato lo stesso ex ministro della Salute nel corso di un intervento a Mattina 5. "Sono stato richiesto della mia disponibilita'. Ho accettato volentieri", ha detto il senatore del Pd. Veronesi ha anche rassicurato sulla sicurezza del nucleare escludendo che possa verificarsi una nuova Chernobyl. "Chi ha studiato", ha osservato, "sa benissimo che il disastro di Chernobyl è stato provocato dalla follia di un direttore che ha voluto fare un esperimento. E per farlo ha tolto almeno 12 livelli di sicurezza. E' stata una follia umana che non si ripeterà. Sono sicuro che non c'è alcun rischio". Inoltre, ha concluso, "i nuovi reattori sono bellissimi, potenti e non c'è alcun dubbio sulla loro sicurezza".

giovedì 14 ottobre 2010

Le principali tecnologie elettriche: costi a confronto



La questione dei costi dell’energia nucleare continua a tenere banco. Da un lato gli oppositori che parlano di “bidone economico”, di “costi assurdi” e di “palesi falsità” nelle cifre fornire dagli operatori industriali. Dall’altro l’industria che continua a dire che è una delle fonti più economiche. Qui proponiamo quello che ci risulta essere l’ultimo studio di confronto sui costi di generazione per le principali tecnologie elettriche, realizzato da un istituto di ricerca di indiscussa autorevolezza a livello mondiale qual è l’EPRI (Electric Power Research Institute).
Il rapporto è datato novembre 2009 e mette a confronto le stime sui costi del kWh elettrico al 2015 e al 2025 di otto fonti di energia: carbone (due tecnologie: impianti supercritici a polverino e impianti IGCC, cioè a ciclo combinato con gassificazione integrata), gas (ciclo combinato), nucleare, eolico, biomassa (impianto a letto fluido circolante), solare termodinamico (parabole lineari), solare fotovoltaico.
Nella tabella pubblichiamo le stime dei costi al 2015.

Nel seguito le principali valutazioni dello studio EPRI. Tutti i costi sono in dollari ($) a valuta costante dicembre 2008; il costo dell’energia generata è “livellato”, cioè considerando l’intero ciclo di vita dell’impianto e senza considerare gli eventuali incentivi.

Carbone – I costi capitali di investimento (tutto incluso) sono stimati in 2,65 milioni di $/MW (1,95 milioni di euro) nel 2015 e 4,44 milioni di $/MW al 2025 (3,260 milioni di euro) compresa la CCS. I prezzi dell’elettricità è stimato in 66 $/MWh (48 euro) al 2015 e a 86 $/MWh (63 euro) al 2025.

Gas – 2015: costo capitale di investimento (tutto incluso) 880 mila $/MW (647 mila euro); costo dell’energia generata compreso tra 74 e 89 $/MWh (54-65 euro).
2025: costo capitale di investimento 902 mila $/MW (663 mila euro); costo dell’energia generata compreso tra 67 e 81 $/MWh (49-59 euro)

Nucleare – 2015: costo capitale di investimento (tutto incluso) 4,86 milioni di $/MW (3,59 milioni di euro); costo dell’energia generata compreso tra 84 $/MWh (62 euro).
2025: costo capitale di investimento 4,13 milioni di $/MW (3,05 milioni di euro); costo dell’energia generata compreso 74 $/MWh (54 euro)

Eolico– 2015: costo capitale di investimento 2,35 milioni di $/MW (1,73 milioni di euro); costo dell’energia generata 99 $/MWh (73 euro).
2025: costo capitale 2,35 milioni $/MW (1,73 milioni di euro, come nel 2015); costo dell’energia generata 82 $/MWh (60 euro)

Biomassa – 2015: costo capitale 3,58 milioni di $/MW (2,64 milioni di euro); costo dell’energia generata 77-90 $/MWh (57 – 66 euro).
2025: costo capitale uguale al 2015, mentre il costo dell’energia generata si stabilizza a 77 $/MWh (57 euro)

Solare termodinamico -2015: costo capitale che varia a seconda della tipologia di impianto da 4,85 a 6,3 milioni di $/MW (3,6 – 4,6 milioni dieuro); costo energia generata che varia da 225 a 290 $/MWh (166 – 214 euro).
2025: sia i costi capitali che quelli dell’energia generata sono stimati invariati rispetto al 2015

Fotovoltaico -2015: costo capitale 7,98 milioni di $/MW (5,89 milioni di euro); costo dell’energia 456 $/MWh (333 euro).
2025: sia i costi capitali che quelli dell’energia generata sono stimati invariati rispetto al 2015

L’EPRI non trae conclusioni e presenta il rapporto come «una base generica, utile per i confronti fra le tecnologie» limitandosi a sottolineare, per il futuro, «l’opportunità straordinaria di sviluppare e confermare una grande varietà di tecnologie energetiche a basso costo».

mercoledì 13 ottobre 2010

Ridurre le emissioni di CO2

Da un paio d’anni l’Agenzia Internazionale dell’Energia realizza appositi studi (Energy Technology Perspectives) mirati a definire quali siano le possibili alternative per ridurre la concentrazione di CO2 nell’atmosfera a livelli tali da contrastare efficacemente il cambiamento climatico e, quindi, scongiurare le più drammatiche conseguenze del riscaldamento globale.
Tali studi ipotizzano diversi scenari per le emissioni di CO2 al 2050. Il più modesto dei quali punta a limitare le emissioni, a quella data, agli stessi livelli attuali, e il più severo a ridurle del 50% rispetto a quelle di oggi.

In entrambi i casi, per ottenere gli obiettivi prefissati (quali che siano), gli esperti dell’IEA ritengono necessaria una vera e propria rivoluzione nel modo di produrre e consumare energia. Rivoluzione che prevede, seppur a livelli diversi per ciascuna tecnologia, a seconda degli obiettivi finali:
  • un forte ricorso alle fonti rinnovabili
  • l’utilizzo su vasta scala del nucleare
  • l’adozione massiccia delle tecnologie di cattura e sequestro geologico della CO2 (CCS – Carbon and Capture Storage)
  • lo sviluppo di un sistema di trasporti a zero emissioni di carbonio
  • un netto miglioramento dell’efficienza energetica
In pratica è necessario ricorrere a tutte le opzioni tecnologiche oggi disponibili. Peraltro da abbinare anche ad un drastico cambiamento delle politiche governative e a eccezionali livelli di cooperazione sia tra le maggiori economie, sia tra queste e i Paesi meno sviluppati e in via di sviluppo.

Ma, avverte l’IEA, non esiste l’opzione “facciamo questo e non facciamo quello”. Perchè nemmeno tutto, ma proprio tutto quello che possiamo fare può darci la certezza che sarà sufficiente. Ora, in teoria è anche possibile che gli esperti dell’IEA siano degli incompetenti o dei biechi venduti agli interessi di questa o quella industria. Se la pensate così, il discorso è chiuso.
Altrimenti sarei lieto se quanti ritengono che del nucleare in Italia se possa fare a meno ci ragionino un po’, su quanto afferma l’IEA.

Fonte: Enerblog

martedì 12 ottobre 2010

Francia: il nucleare conviene rispetto all’eolico

Di recente la Francia ha annunciato di voler raggiungere quota 23% di energia prodotta da fonti rinnovabili entro il 2020, contro l’attuale 10%. Per arrivare a questo risultato, il governo ha deciso di puntare sull’eolico: lo scorso settembre, infatti, il ministro dell’ecologia Jean - Louis Borloo ha lanciato la prima offerta per la realizzazione di impianti di energia eolica offshore, da realizzare in aree in cui le condizioni del vento risultano migliori.

Il piano francese non è stato accolto con favore, ma ha suscitato accese reazioni da parte di cittadini e di alcuni rappresentanti delle istituzioni, aprendo un vero e proprio dibattito, ripreso dal portale Greencity. L’opinione prevalente è che un ricorso massiccio all’energia eolica porterebbe meno vantaggi rispetto ad altre fonti energetiche, su tutte il nucleare. Le ragioni di questo scetticismo sono di diversa natura. Innanzitutto va considerata la produzione di energia elettrica: è stato osservato che nello stesso tempo in cui una centrale nucleare produce 1600 MW di energia, le turbine eoliche al massimo 3. Produzione che sarebbe insufficiente a coprire il fabbisogno nazionale di energia, soprattutto nel periodo invernale, particolarmente rigido in quasi tutto il Paese. L’abbassamento della temperatura è , infatti, legato all’assenza di vento, che riduce ulteriormente la produttività degli impianti.
Oltre al problema dell’efficienza delle strutture, un altro motivo è dato dalla natura di questa fonte di energia: l’eolico, proprio perché dipendente dal vento, è per sua natura “instabile”. Una turbina inizia a produrre energia con un vento di 10 km/h, e va arrestata quando si raggiungono i 90 km/h per evitare danni alla struttura. Risultato: nel 2009 le pale eoliche hanno prodotto appena il 22% della potenza nominale installata, contro l’80% del nucleare. Non c’è dubbio che l’energia atomica sia in grado di garantire maggiore continuità sotto questo punto di vista.

Non vanno dimenticate, poi, altre due questioni “cruciali” nel confronto rinnovabili – nucleare: le emissioni di CO2 e i costi. Sul primo punto, bisogna dire che l’impatto positivo dell’eolico sull’ambiente non è poi così decisivo: secondo il ministero dell’Ambiente francese, ai massimi livelli di produzione, farebbe risparmiare 1,65 milioni di tonnellate di C02, un contributo minimo rispetto ai 34 prodotti ogni anno dal solo settore energetico. Inoltre l’energia nucleare e quella idraulica, che nel Paese rappresentano il 90% del totale, hanno emissioni di C02 pari all’eolico.
Se, dunque, dal punto di vista del risparmio di anidride carbonica, l’energia alimentata dal vento non è poi così vantaggiosa, si può dire lo stesso sotto il profilo economico: in Francia, così come nel nostro Paese, il settore delle rinnovabili gode di consistenti incentivi. EF compra l’elettricità prodotta da una turbina a 86 cent. al chilowattora in rapporto a un prezzo di mercato che oscilla tra i 60 e gli 80 e il sovraprezzo va a ricadere sul consumatore finale. Così come accade in Italia.

Altre fonti di energia, ad esempio il nucleare, prevedono, invece, che i costi siano solo a carico delle aziende e che non ci sia nessuna spesa aggiuntiva per l’utente.
Alla luce di tutte queste motivazioni, la maggior parte dei francesi è arrivata a escludere l’ipotesi di puntare unicamente sulle rinnovabili, preferendo, piuttosto, affiancare fonti “alternative” e nucleare, al punto che , afferma Greencity, “ i supporters del vento puntano ora sul tema della diversificazione, piuttosto che della sostituzione..".

Nonostante le diversità dei due Paesi, le difficoltà riscontrate in Francia nell’applicazione dell’eolico non sono, poi, molto diverse da quelle presenti nel nostro Paese. Con l’unica differenza che in Italia si continua ancora ad esaltare i vantaggi delle rinnovabili, trascurando l’altra faccia della medaglia. Non sarebbe il caso, allora, che anche noi iniziassimo a prendere coscienza che solo affiancando le due fonti si può davvero iniziare a crescere e a raggiungere una maggiore autonomia energetica?

lunedì 11 ottobre 2010

2 italiani su 10 conoscono il nucleare

Giovedì scorso decine di attivisti Greenpeace hanno “consegnato” al Parlamento europeo due container di rifiuti radioattivi, protestando contro la direttiva della Commissione europea sulla gestione delle scorie. Il grido di battaglia è stato «Nuclear waste, no solution». Il messaggio è chiaro: non c’è soluzione al problema delle scorie.

Ma non finisce qui: lunedì 18 ottobre sempre Greenpeace ha organizzato a Roma “Nuclear Emergency”, una serata evento per dire “no” al nucleare.

L’associazione ambientalista, si sa, non è nuova a queste iniziative: qualche mese fa, era salpata da Civitavecchia la “Rainbow Warrior”, una nave “verde” teoricamente alimentata da quattro vele, ma in realtà tutt’altro che pulita. L’imbarcazione era dotata di motore e di un ponte portaelicotteri, con livelli di consumo di nafta non indifferenti.

Cosa hanno in comune queste tre eventi oltre al fatto di essere state organizzati da Greenpeace? Tutte e tre fanno di una menzogna, o comunque di un’informazione non completamente corretta, il loro elemento centrale. Come già detto altre volte, infatti, non è vero che non ci sia soluzione al problema delle scorie, perché sono previsti già degli impianti per il loro smaltimento, ma soprattutto non è vero che la “rivoluzione energetica pulita” auspicata dall’associazione ambientalista debba tagliare fuori il nucleare.

Quello che l’energia atomica non sia una fonte di energia pulita è da tempo un leitmotiv di Greenpeace, convinta che i sostenitori dell'atomo siano sotto l’effetto di una specie di “propaganda dell’industria nucleare”. Ma resta il fatto che il nucleare ha emissioni di anidride carbonica bassissime, cosa che la rende la più pulita fonte di energia su larga scala. Il che non significa escludere le fonti rinnovabili, che risultano, però, applicabili con maggiori difficoltà a realtà più estese.

Informazioni, queste, ampiamente documentate da ricerche che confrontano i numeri sulla pulizia delle fonti rinnovabili rispetto al nucleare.

Una ricerca, realizzata da Lorien Consulting e dal mensile La Nuova Ecologia, mostra che tra le maggiori preoccupazioni degli italiani c'è l'ambiente: subito dopo il lavoro, infatti, indicato da 9 italiani su 10 del campione intervistato, viene l'ambiente con 7 italiani su 10.
La cosa allarmante è che sempre secondo il sondaggio, sono solo 2 italiani su 10 a conoscere il nucleare, quale fonte di energia al pari delle rinnovabili o del carbone.
Quindi mi chiedo, se a conoscerlo sono solo 2 su 10 come si fa a dire che la maggioranza degli italiani è contraria, se la maggioranza non capisce nemmeno la domanda che gli viene posta? E ancora: è più facile dire di non volere il nucleare, non conoscendo come funziona, che affermare il contrario, non sapendo poi come argomentare la propria tesi (ingnorando l'argomento..)

È arrivato il momento di un'informazione corretta, ma soprattutto sarebbe ora che anche Greenpeace iniziasse a informare obiettivamente e a portare avenati le proprie battaglie sulla base di dati concreti e soprattutto veritieri, piuttosto che approfittare delle paure comuni per ottenere consensi.

venerdì 8 ottobre 2010

Quelli che.. dicono sempre NO

Da qualche anno la cosiddetta sindrome Nimby sta contagiando sempre più il nostro Paese. E non riguarda solo il nucleare, ma anche le fonti rinnovabili. Che si tratti di scorie, pale eoliche o centrali idroelettriche, la sostanza del messaggio non cambia: riprendendo il significato dell'acronimo inglese, nessuno le vuole "nel proprio cortile".
A fotografare il fenomeno era già stato un paio d'anni fa il Nimby Forum, organizzazione che tiene sotto osservazione il delicato rapporto tra le comunità e le istituzioni, le aziende e gli enti che promuovono la costruzione delle infrastrutture. Nel 2008, anno in cui questa tendenza ha iniziato a raggiungere proporzioni rilevanti, erano stati individuati 67 impianti a energie rinnovabili contestati in Italia. Su 264 proteste censite, inoltre, quelle per l'energia seguivano solo le rivolte legate all'immondizia (44,3% contro 46,2%).

Si tratta, quindi, di una guerra totale: se spesso nell'opinione comune l'intolleranza viene associata principalmente (ed erroneamente) al nucleare, i dati e gli episodi dicono tutt'altro.
Qualche esempio: le centrali a biomasse sono tra gli impianti più innocui sulla Terra. Per produrre elettricità bruciano pezzi di alberi a crescita rapida, come i pioppi, e scarti di potature: tutta roba pulita e rinnovabile. Per i contadini sarebbero un affare, perché trasformano in guadagno il costo dello smaltimento dei residui. Anche per gli abitanti dei comuni interessati potrebbero essere un'opportunità, visto che significano posti di lavoro e spesso sconti sulla bolletta della luce. Eppure, in Italia perfino le piccole e inoffensive centrali a legna sono viste con sospetto. Da Atena Lucana, in provincia di Salerno, a Zinasco, nel Pavese, sono stati numerosissimi gli impianti elettrici di quel tipo contestati.

Un discorso simile si può fare anche per le centrali idroelettriche o per l'eolico: un paio d'anni fa, ad esempio, a Poggi Alti di Scansano in Maremma, zona di produzione del Morellino, il parco eolico da 20 megawatt installato dalla tedesca Eon ha funzionato per qualche settimana, poi è stato bloccato da un solo viticoltore che si è rivolto al Tar sostenendo che le pale degli impianti disturbano gli uccelli e le lepri.
Questi casi di sindrome Nimby appaiono inspiegabili per tutta una serie di motivi.
Innanzitutto perché riguardano fonti generalmente percepite come "pulite e sicure", e, in alcuni casi, addirittura richieste e preferite ad altre. In secondo luogo anche per un'altra questione: considerando la nostra fortissima dipendenza dall'estero per quanto riguarda le fonti energetiche è sorprendete che si lotti contro risorse di energia che potrebbero essere un'alternativa a quelle fossili, oltre che una soluzione a questo problema.
Non bisogna dimenticare, infine, i costi: l'insufficienza di strutture energetiche pesa in modo rilevante.
Secondo il Nimby Forum, nel 2008 le contestazioni hanno interessato la produzione di circa 18 mila megawatt, di cui 1.400 da rinnovabili: in totale circa un quarto della produzione nazionale.
Un prezzo non di poco conto, considerando la nostra situazione attuale, che, tra l'altro, ci vede ancora privi del nucleare. Sarebbe opportuno, dunque, valutare correttamente i "pro" e i "contro" di ogni fonte energetica, prima di innescare polemiche che potrebbero danneggiare solo noi e la nostra economia.

giovedì 7 ottobre 2010

Il problema delle scorie? Senza centrali, diventa urgente

È giusto preoccuparsi per la gestione delle scorie radioattive, ma molti pensano che il problema si presenterà con la costruzione delle nove centrali. E invece è vero il contrario: non solo abbiamo scorie da smaltire indipendentemente dal ritorno al nucleare, ma anzi è proprio la chiusura dei vecchi reattori italiani ad aver reso il problema più urgente e di difficile soluzione.

Il perché lo spiega Umberto Minopoli con un articolo sul Riformista: le scorie radioattive non vengono prodotte solo dalle centrali nucleari, ma da varie altre attività umane. Per esempio i reattori sperimentali usati nelle università e nei centri di ricerca, o gli ospedali e le strutture sanitarie in generale, dove vengono utilizzati isotopi per la diagnosi e la cura delle malattie.

Come spiega Minopoli, «laddove le centrali sono operative il problema esiste lo stesso, ovviamente, ma quantitativamente e qualitativamente diverso: meno impellente e meno stringente». In attesa di una soluzione definitiva, infatti, la maggior parte delle scorie in tutto il mondo viene custodita in depositi temporanei allestiti proprio nelle centrali.

Inoltre, aggiunge Minopoli, proprio lo smantellamento delle vecchie centrali italiane «ha aumentato in modo esponenziale la dimensione quantitativa delle scorie: dei 100.000 metri cubi di scorie che occorrerà mettere a deposito in Italia, 70.000 derivano dallo smantellamento delle ex centrali nucleari italiane (Trino, Caorso, Latina e Garigliano)».

Infine, Minopoli sottolinea un altro paradosso delle scorie italiane: come nel resto d'Europa, il combustibile viene riprocessato, cioè diviso nelle sue componenti. In assenza di impianti di riprocessamento, però, l'operazione viene effettuata in Francia e Gran Bretagna, in base ad accordi intergovernativi. Il risultato è che il combustibile riutilizzabile rimane a disposizione della Francia, mentre quello inutilizzabile torna in Italia, dove si aggiunge alle scorie in attesa di deposito. In sostanza, conclude Minopoli, «siamo obbligati a fare un deposito. E lo dovremmo fare anche se non dovesse realizzarsi in futuro la costruzione di nuove centrali».

Fonte: Nuclear News

mercoledì 6 ottobre 2010

La generazione N: mangia bio e studia ingegneria

Lo sviluppo del nucleare in Italia e nel mondo sta dando vita alla generazione N. Così il settimanale Panorama chiamava un po’ di tempo fa tutte quelle persone cresciute dopo il referendum dell’ '87 e che, per una serie di ragioni, sono favorevoli al ritorno dell’energia atomica.

Chi sono? Innanzitutto i tanti giovani che stanno ricominciando ad affollare le facoltà di ingegneria, specializzazione nucleare, delle nostre università. La rinascita del programma nucleare nel nostro Paese e lo sviluppo di questa tecnologia nel resto del mondo hanno creato l’esigenza di acquisire conoscenze tecniche in materia ed è per questo che lo studio dell’atomo da un po’ di tempo è ritornato alla ribalta. Se dopo il boom degli anni ’70 il referendum ha distolto l’attenzione dal nucleare, ora i numeri degli atenei parlano chiaro: gli iscritti al corso di specializzazione del Politecnico di Milano in 5 anni sono triplicati, mentre al Politecnico di Torino gli studenti in ingegneria energetica sono decuplicati in 10 anni (da 30 a 300) e un terzo degli iscritti alle specializzazioni riguarda proprio il settore nucleare.

A prendere atto del cambiamento è Giuseppe Forasassi, docente all’Università di Pisa e presidente del consorzio interuniversitario sul nucleare Cirten: “Un segnale importante di questo fermento culturale è il revival dei corsi di specializzazione in ingegneria nucleare delle università italiane. Siamo rimasti in cinque atenei a proporli: Milano, Torino, Pisa, Palermo e Roma, ma contiamo di recuperare presto anche Bologna”.

I nuovi ingegneri che escono dalle nostre università, tuttavia, non sono sufficienti a soddisfare la domanda sempre crescente delle imprese: “Il punto – continua Forasassi - è che l’università oggi è in grado di laureare circa 120 ingegneri all’anno, che non bastano a soddisfare la crescita vertiginosa della domanda”. Qualche esempio: la società americana Westinghouse procede a un ritmo di 1.000 assunzioni l’anno, la francese Edf ne annuncia 600 e l’Areva, società che copre l’intera filiera, ha messo a contratto in breve tempo 1.200 persone. Ma anche l’Italia non è da meno: centocinquanta nuovi assunti e 4 mila persone sono attualmente impiegati nell’attività nucleare di Enel. Anche Ansaldo Energia, la società della Finmeccanica che ha vissuto tutte le stagioni del nucleare italiano, sta aprendo le porte a tanti neolaureati.

Il boom degli studi in ingegneria energetica è ovviamente collegato all’espansione di tante imprese che stanno investendo nel settore, convinte delle potenzialità del nucleare sotto il profilo dei costi, della sicurezza e del rispetto per l’ambiente. Dimostrazione è la corsa all’accaparramento del certificato Asme, che consente alle aziende di ottenere le commesse legate ai nuovi reattori: “È naturale che tra le aziende si sia scatenata la corsa alla certificazione nucleare - sottolinea Alberto Ribolla, amministratore delegato della Sices e presidente dell’Energy Cluster lombardo - Si tratta di un processo costoso, ma che può far fare alle imprese quel necessario salto qualitativo per passare dall’impiantistica tradizionale, un’eccellenza che già oggi vale 145 miliardi, a quella nucleare”.
Non c’è dubbio che il ritorno al nucleare del Paese rappresenta un’occasione importante per la nostra crescita economica e occupazionale. Che, in un periodo di crisi come questo, non è possibile lasciarsi sfuggire.

martedì 5 ottobre 2010

Piero Angela e le questioni energetiche

Stamattina ho letto sull’Unione Sarda un'intervista a Piero Angela riguardo il tema dell’energia in generale e dell'atomo. E lo fa da giornalista e uomo di scienza: con imparzialità ed oggettività, elementi con cui innegabilmente ha sempre svolto il proprio lavoro; al punto da farne un marchio di fabbrica.

D’altronde, il suo è uno stile conosciuto e riconosciuto un po’ da tutti, anche per la dote dell’equilibrio. E con il medesimo equilibrio si esprime sulla possibilità che l’Italia torni all’energia nucleare. Partendo dalla premessa che esiste un’ineludibile necessità di energia, che poteva essere affrontata (almeno parzialmente) già prima e meglio: coibentando le case, adottando il risparmio energetico e migliorando l’efficienza, dalle linee di trasmissione fino agli stessi elettrodomestici. Tutti propositi che si possono realizzare, ma che non sono in grado di risolvere il problema generale: serve più energia. Molta di più. Perché non si tratta solo di far avere corrente a tutti e non rischiare dei black out, ma di avere abbastanza energia da non rallentare lo sviluppo industriale e manifatturiero, e di averne abbastanza da abbassare i costi per tutti, privati e imprese. Perché i primi si impoveriscono e le seconde non reggono la competizione internazionale e magari devono de-localizzare. E questo ha evidenti ripercussioni occupazionali, non occorre la scienza per capirlo.. è un circolo vizioso.

E secondo Piero Angela il nucleare è una scelta migliore di altre perché ha il vantaggio di non essere inquinante: niente CO2. E poi ci affrancherebbe da materie prime volatili e di cui non disponiamo. Piero Angela dice tutto questo, pur non esprimendo preferenze ideologiche. Semplicemente fa notare che attorno all’atomo esistono pregiudizi ancora legati al terrore post Chernobyl; giustificati, ma da superare. Esempio illuminante è il suo racconto, riferito ad un viaggio fatto a Chernobyl per girare una puntata speciale di Quark.

Non è tutto: Angela si esprime anche a favore di altre fonti, come l’eolico, senza nascondere che sarebbe solo parte della soluzione. Poi una provocazione: impianti di media e piccola taglia. Ma questi risolvono problemi locali, di media e piccola taglia.. il problema generale, e industriale, rimane. E per risolverlo occorrono grandi centrali che producano molto e che inquinino poco o pochissimo. Ben vengano quindi, anche secondo Piero Angela, tutte le soluzioni possibili.

lunedì 4 ottobre 2010

In Francia si brinda, nonostante il nucleare

Leggevo ieri su Italia Oggi un interessante articolo che parla di vino e di nucleare in Francia. Cosa c’entrano? Questione di "primati", visto che la Francia è tra i maggiori produttori di nucleare al mondo, ma lo è anche per quanto riguarda il vino. E da molto tempo prima. Mi spiego, a beneficio di chi ancora nutrisse dei dubbi sulla sicurezza di questa tecnologia: vi sembra possibile che un paese con secoli di onorata tradizione vinicola metta a repentaglio la propria reputazione nel mondo, e una fetta non trascurabile di economia nazionale, pur di assecondare il capriccio di produrre energia atomica? Voi credete che i produttori di vino non siano saltati sulla sedia 40-45-50 anni fa quando il tutto prese il via, e che non lo farebbero oggi, se vi fosse pericolo di contaminazione di, nell’ordine: terra, viti, uva e infine vino stesso?

Essendo sempre stati molto seri, e anche inclini ai ‘sommovimenti’ quando qualcosa non li convince, i francesi non avrebbero mai accettato l’energia atomica, se questa avesse incluso la possibilità anche di un minimo detrimento del loro orgoglio (il vino), della loro reputazione nel mondo e della loro economia (frutto di reputazione e di vino di altissima affidabilità e qualità).

E pensare che diverse centrali sorgono proprio nella zona di Bordeaux, (ad esempio a Tricastin) dove si produce uno dei rossi migliori al mondo: tant’è che si chiama proprio Bordeaux.. certo, nell’articolo leggo che qualcuno ha cambiato le etichette del vino affinché non avesse lo stesso nome di una centrale nucleare del luogo. Ma questa decisione va incontro ai pregiudizi, è scelta obbligata, se vogliamo. Però la produzione, pur con nome diverso, è proseguita e il vino francese gira per il mondo con successo.

Insomma, i due mondi produttivi hanno imparato a convivere evitando inutili contrapposizioni e confronti prolungati. Sicuramente gli oltre 500 posti di lavoro prodotti dall'impianto di nucleare hanno giocato un ruolo significativo nel migliorare la convivenza tra le due dimensioni produttive.