martedì 30 novembre 2010

Paure infondate sulle radiazioni

Una ricerca de ll’Electric Power Research Institute (EPRI) è arrivata alla conclusione che le radiazioni, in piccole dosi, avrebbero rischi per la salute molto minori di quanto si pensi.
Come noto, gli effetti delle radiazioni in grandi dosi sulla salute sono stati studiati in moltissimi casi, a partire dai militari esposti in occasione dei test atomici e, poi, in seguito alle esplosioni di Hiroshima e Nagasaki. Per le radiazioni in piccole dosi, invece, gli effetti non erano osservabili, e quindi erano stati dedotti in modo indiretto, con estrapolazioni teoriche su una stessa quantità di dose assorbita in una unica esposizione o in tempi lunghi.

Secondo la ricerca dell’EPRI (che ha confrontato i risultati di oltre 200 studi scientifici in proposito), questo metodo avrebbe sovrastimato i rischi per la salute delle radiazioni in piccole dosi: «Quando una certa quantità di radiazioni è somministrata a piccole dosi, cioè in un arco di tempo molto lungo, causa molte meno modifiche biologiche rispetto alla stessa quantità somministrata in un breve periodo».

Questo per dire che molto spesso i rischi delle radiazioni sono volutamente esagerati da parte di chi è interessato a trovare ogni motivo per contrastarne lo sviluppo dell’energia nucleare. E quello delle supposte radiazioni emesse “normalmente”, cioè senza incidenti, dalle centrali e dai depositi di rifiuti nucleari è appunto un motivo irrazionale, quando non in malafede.

Eppure, fino agli anni ’80, era abbastanza comune fare il bagno in terme che pubblicizzavano con grandi manifesti le proprie “acque radioattive”. Oggi le strutture termali non pubblicizzano più la cosa, ma ci sono almeno una ventina di strutture (vedi qui un breve elenco) che, nei dati analitici delle acque, ammettono che sono radioattive. Avvisando non di stare attenti, ma che la radioattività fa bene al sistema nervoso, all’artrosi e tanti altri malanni.

D’altra parte tutti gli esseri umani sono esposti ad una dose naturale di radiazioni di circa 2 milliSievert all’anno. Ma in media. Il che vuol dire che ci sono zone ove tale dose è doppia, tripla ed in qualche caso anche 10 volte superiore al valore medio, senza che questo comporti differenze nello stato di salute o nell’attesa di vita.
Ad esempio, in Italia gli abitanti del Viterbese e della zona dei Campi Flegrei sono soggetti a dosi di radiazione 2-3 volte la media nazionale. E che dire del fatto che in Piazza San Pietro, a Roma, la radioattività è 10 volte superiore alla media nazionale, per via dei particolari blocchetti di granito usati per la pavimentazione?

lunedì 29 novembre 2010

Il referendum del 1987 e la scelta di "spegnere" il nucleare. Ma anche no

«In realtà» afferma Adriano De Maio, ex rettore del Politecnico di Milano e della Luiss di Roma ed ex commissario del Consiglio nazionale delle ricerche, il referendum al quale gli italiani sono stati chiamati a votare nel 1987, «non chiedeva affatto alla popolazione di chiudere le centrali, che allora erano quattro e tutte di buona qualità, né di bloccare quelle future, come Montalto di Castro, che sarebbe entrata in funzione proprio nel 1987, né di rinunciare a qualsiasi studio e sviluppo e a un settore industriale nel quale avevamo una presenza consolidata. Si sfruttò l’onda emotiva per fini politici, come se oggi si chiedesse di rinunciare alla benzina per l’incuria della Bp nel Golfo del Messico».

I tre quesiti del 1987 chiedevano di abrogare due articoli minori di una legge del 1983 sulla localizzazione delle centrali e rimborsi ai comuni, e uno della legge istitutiva dell’Enel del 1973 che consentiva di partecipare alla gestione di centrali atomiche all’estero. Fu nell’88 che i governi di Giovanni Goria e Ciriaco De Mita decisero di modificare il piano energetico nazionale (Pen) decretando una «moratoria nell’uso del nucleare quale fonte energetica».

In nessun momento ci si chiese quale sarebbe stato l’impatto sull’economia, sulla dipendenza energetica, oltre che sulla stessa salute per la rinuncia allo studio di impianti più moderni e sicuri. «Insomma, non si sottoposero ai cittadini i costi del non fare» dice De Maio. «Neppure ora bisogna essere approssimativi né banali, se però ci si fa prendere la mano da analisi non metodologicamente corrette, allora conviene rivolgersi agli sciamani».

Da un articolo pubblicato su Panorama

Senza energia (nucleare) .. che fatica!

venerdì 26 novembre 2010

Usa La Mente! Proteggi L'Ambiente!

"Scuole per Kyoto" è un progetto Kyoto Club che prevede l'attivazione di programmi didattici rivolti agli studenti delle Scuole medie inferiori e superiori con lo scopo di preparare le nuove generazioni alle nozioni tecniche e scientifiche legate alla sostenibilità energetica e ambientale.

L'associazione punta a definire un percorso formativo per lo studente che può essere utile ad indicargli le eventuali strade professionali per il suo futuro, ma soprattutto le sfide culturali e tecnologiche che la società sta affrontando nel passaggio da una generazione energetica centralizzata ad una distribuita, con la conseguente maggiore attenzione ai progetti e alle tecnologie per l'efficienza energetica.

Per l'edizione 2011-2012 Kyoto Club intende lanciare un nuovo programma destinato alle Scuole Medie inferiori e superiori non tecniche (medie inferiori, licei classici e scientifici) su tematiche che riguardano, oltre a quelle energetiche, la mobilità sostenibile, la produzione e l'utilizzo sostenibile di prodotti food e non-food e il tema dei rifiuti.

Il progetto intende coinvolgere 50 Scuole (circa 200 classi per 4mila studenti) su tutto il territorio nazionale, principalmente quelle presenti nelle Province di Torino, Milano, Bologna, Roma e Napoli, oltre ad altre località da concordare con il Cofinanziatore dell'iniziativa.

Scuole per kyoto

giovedì 25 novembre 2010

Il Codice nucleare

Un programma nucleare, per la sua stessa natura tecnologica, non può essere portato avanti in un Paese senza tenere conto delle esperienze all'estero. E questo vale anche a livello normativo: si sentiva quindi la mancanza di uno strumento che contestualizzasse la regolamentazione italiana nel panorama internazionale.

Questa lacuna è stata colmata dal Codice dell'energia nucleare, curato da Pietro Maria Putti, subcommissario Enea, e presentato il 23 novembre a Roma, al Ministero dello sviluppo economico.

Il volume contiene tutta la normativa, sia italiana sia straniera, in materia di energia nucleare, dalle prime fasi autorizzative fino allo smaltimento delle scorie e allo smantellamento degli impianti.

«Questo Codice dimostra che non ci dobbiamo inventare nulla, ma dobbiamo immaginare il ritorno al nucleare italiano come un tassello del nucleare mondiale», ha commentato Stefano Saglia, sottosegretario allo Sviluppo economico, intervenendo alla presentazione. Secondo Saglia, il Codice dovrebbe diventare un manuale sia per l'Agenzia italiana per la sicurezza sia per le Regioni e gli enti locali.

«La cosa che mi ha colpito di più di questo manuale è vedere che le norme internazionali sono molte di più di quelle nazionali. Quindi ritornare al nucleare italiano vuol dire recepire tutte queste direttive. Questo per noi è una garanzia», ha affermato poi Francesco Giorgianni, responsabile per gli affari istituzionali di Enel.

Secondo Giorgianni, bisogna accelerare per l'integrazione europea anche per quanto riguarda l'energia nucleare: «Dovremo arrivare ad un'unica Autorità europea per il nucleare, così come è ora per l'Autorità per l'energia elettrica e il gas». «Il sogno di tutti i nuclearisti è che si arrivi a norme di sicurezza uniche» europee, ha aggiunto Bruno D'Onghia, presidente di Edf Italia.

Newclear

mercoledì 24 novembre 2010

Wwf-Ecofys: UE indietro rispetto agli obiettivi climatici del 2050

Solo un terzo delle azioni necessarie vengono implementate per indirizzare i paesi dell'Ue verso il raggiungimento dell'obiettivo di una economia a basse emissioni di carbonio entro il 2050, con la riduzione dell'emissione dei gas serra dell'80-95%. Nel Vecchio Continente, inoltre, sono al momento solo 4 i Paesi che prendono qualche iniziativa e sono Germania, Danimarca, Irlanda e Svezia, che raggiungono però appena la metà degli obiettivi necessari. Riguardo l'Italia, inoltre, il rapporto parla chiaro: è un Paese diviso a metà tra i successi raggiunti nel settore delle rinnovabili, il conto energia sul fotovoltaico e il ritorno al nucleare.

E' lo scenario che emerge dal Climate Policy Tracker, un nuovo strumento di monitoraggio lanciato oggi a Roma dal Wwf e da Ecofys a pochi giorni dal Summit sul clima, Cop16, che si terrà dal 29 novembre al 10 dicembre a Cancun, in Messico. Il rapporto e il relativo sito, il cosiddetto Climate Policy Tracker dell'Unione Europea, forniscono infatti per la prima volta un quadro aggiornato delle misure di controllo dei gas serra in tutta l'Ue basato su un'analisi dei singoli Stati Membri e dei singoli settori.

Riguardo l'Italia, l'energia nucleare è un elemento importante della Strategia Energetica Nazionale, che attualmente non esiste, e nel futuro il 25% dei consumi dovrebbe provenire da questa fonte". Oltre ad altri aspetti ambientali, nel Rapporto "è prevista una forte opposizione alla costruzione di impianti nucleari, che molto probabilmente ritarderà e ridimensionerà i risultati attesi in termini di riduzione dei gas serra".

Adnkronos

martedì 23 novembre 2010

Quanto è costato all'Italia uscire dal nucleare?

.. è costato 45 miliardi di euro. Il conto è stato presentato dallo studio “I costi del mancato sviluppo del nucleare in Italia”, realizzato da Andrea Gilardoni, Stefano Clerici e Luca Romè nell’ambito dell’Osservatorio “I Costi del non fare”: si tratta di una cifra compresa tra i 29 e i 45 miliardi di euro.

L’ampiezza dell’intervallo è determinata dal tipo di scenario considerato, anche se sul fatto che un danno economico ci sia stato sembrano non esserci dubbi. Lo studio ricorda come, però, proprio nell’anno della catastrofe di Chernobyl, il Governo aveva programmato la realizzazione di nuove centrali per una potenza cumulata complessiva di oltre 13.000 Mw, pari al 22% della potenza complessiva installata sul territorio nazionale. Il saggio delinea così due diversi scenari: il primo immagina appunto uno sviluppo come quello ipotizzato nel 1986 (con un proseguimento dell’attività nucleare), mentre il secondo scenario, più moderato, si basa su una sostanziale stabilità (9.000 Mw di capacità) della produzione atomica italiana.

Anche in quest’ultimo caso, secondo l’Osservatorio del non fare, il confronto rispetto a questi ultimi 23 anni senza atomo sarebbe inequivocabile: con una produzione nucleare moderata l’Italia avrebbe infatti risparmiato 29 miliardi di euro, mentre nello scenario avanzato il guadagno sarebbe stato di 44,8 miliardi.

In entrambi i casi oltre 17 miliardi sono derivati dai costi legati al decomissioning dei vecchi impianti e ai rimborsi alle società che operavano nel nucleare che l’Italia ha dovuto affrontare in questi anni; altri 3 o 6 miliardi di euro (a seconda dello scenario) arrivano dal rendimento di capitale risparmiato. La vera differenza tra le due ipotesi la fanno però i maggiori costi di generazione elettrica che il nostro paese ha dovuto subire per l’addio al nucleare: se si fosse avverato lo scenario moderato lo scarto rispetto alla situazione reale sarebbe stato di 8 miliardi di euro, che invece diventano oltre 21 miliardi se si prende in considerazione la previsione di sviluppo atomico del 1986.

In particolare, dal 2000 in poi l’Italia ha dovuto compensare l’assenza di energia atomica con l’acquisto di fonti fossili come petrolio e gas, il cui prezzo è inesorabilmente cresciuto negli ultimi dieci anni. Al contrario il costo di generazione del nucleare è rimasto del tutto stabile dal 1987 in avanti e addirittura il costo della materia prima (l’uranio) rispetto a quella data si è ridotto dai 3.397 euro al chilo agli attuali 1.967 euro.

Il Sole24ore

lunedì 22 novembre 2010

Cronaca di un banchetto solitario anti-nucleare

Il 6 e 7 novembre alcuni Comuni italiani hanno ospitato la manifestazione “100 piazze per il clima – Festa delle energie pulite”, promossa da Legambiente. Obiettivo era raccogliere firme per una proposta di legge a favore dello sviluppo delle energie rinnovabili e contro il ritorno al nucleare. Secondo le previsioni degli organizzatori, l’iniziativa avrebbe dovuto essere un successo, ma leggendo un po’ di notizie disseminate su blog e siti, si può dire che non è stato esattamente così.

Qualche giorno fa ho trovato su Greenreport un articolo (Cronaca sconsolata di una raccolta di firme a Pontassieve) che raccontava del disastroso esito della raccolta di firme a Pontassieve, comune del fiorentino. Nella cittadina toscana tre volontarie di Legambiente, Melania, Claudia e Ilaria, si sono presentate, armate di penna e di tanta determinazione, al banchetto allestito per l’occasione. Già qualcosa era andato storto: la Coop locale si era, infatti, rifiutata di organizzare il punto di raccolta firme. Un triste presagio di quello che sarebbe successo dopo. Alla richiesta delle volontarie di sostenere la proposta di legge molti cittadini non sapevano di cosa si stesse parlando. Altri preferivano una soluzione più “efficace”: meglio metterle a tacere con un’offerta in denaro, piuttosto che appoggiare una battaglia di cui si ignorano i contenuti.

Ma non finisce qui: in tanti erano favorevoli al nucleare. Uno smacco troppo grande per le “schizzate in maglietta gialla”, come sono state ribattezzate poco simpaticamente le sostenitrici dell’associazione ambientalista. I pochi giovani che si sono fermati al banchetto per qualche minuto hanno, infatti, candidamente ammesso di non essere neanche spaventati dall’idea di una centrale nucleare a Pontassieve o dall’acquisto di reattori francesi. Anche alcuni cinquanta/sessantenni hanno detto sì agli impianti, purché “non vicino casa”. Decisamente più efficace (e anche più triste!) il messaggio degli ultrasettantenni: non ci interessa firmare, tanto tra qualche anno “saremo belli e morti!”

Una sola eccezione: alcune bambine si sono dette disposte a firmare per il “no” al nucleare. Peccato che i minorenni non possano partecipare alle proposte di legge.
Che sia per la poca informazione o per la consapevolezza dell’importanza dell’energia atomica, nella cittadina quasi nessuno è stato disposto ad abbracciare la causa ambientalista.
Una sconfitta sotto tutti i fronti per le volontarie, che si sono ritrovate deluse e sole al banchetto anti-nucleare. Non resta che sperare in un po’ più di fortuna alla prossima occasione.

venerdì 19 novembre 2010

Arrivano anche in Toscana i premi "Pimby"

Anche la Toscana coinvolta nei premi Pimby (Please in my backyard) 2010, i riconoscimenti per le amministrazioni che dicono sì alle infrastrutture sul proprio territorio. E' stata premiata Toscana Energia, che ha realizzato la centrale di cogenerazione e installato il parco fotovoltaico nel comune di Pisa.

Si tratta del più grande della regione, con una potenza di 3,7 Mw e una capacità produttiva stimata in oltre 5 milioni di Kw annui, pari al fabbisogno di 3 mila famiglie con un beneficio ambientale di circa 3750 tonnellate annue di CO2 risparmiate. Inoltre è stata premiata anche Publiacqua, la società che gestisce il servizio idrico nelle province di Firenze, Prato, Pistoia, per l'impianto di trattamento delle acque reflue a Firenze che non verranno più scaricate in Arno.

Infatti verrà costruita una tubazione di 7 chilometri che dal collettore di scolo (zona Poderaccio) porterà le acque reflue fino al depuratore di sana Colombano. In questo caso ci pare premiato il "cambio di marcia" visti gli annosi ritardi, considerato poi che l'opera sarà completata tra qualche anno.

«Le infrastrutture sono essenziali per lo sviluppo economico del Paese e per la competitività di un territorio. Oggi le aziende investono principalmente dove è garantito un sistema di reti efficiente» ha dichiarato Patrizia Ravaioli, presidente dell'Associazione Pimby fondata nel 2007 con l'obiettivo di superare la sindrome Nimby, cioè la sindrome di chi si oppone alla localizzazione di opere pubbliche o private sul proprio territorio.

«Accanto alle grandi opere è necessario realizzare infrastrutture medio-piccole diffuse sul territorio. La nostra associazione da anni monitora gli investimenti e premia gli amministratori locali che realizzano opere sul proprio territorio, coniugando il rispetto delle regole con il consenso dei cittadini» ha concluso Ravaioli.

Tra gli altri premiati: il comune di Aprilia e la provincia di Latina per l'ampliamento dell'impianto di compostaggio; la Regione Emilia-Romagna per la Variante di valico; la provincia di Roma per il Wi-Fi.

Fonte - Greenreport

giovedì 18 novembre 2010

Solo il nucleare può salvarci


L’energia elettrica generata da carbone e gas continua a crescere e a prevalere rispetto a quella derivante da altre fonti. Questo il dato più evidente che emerge dal rapporto Weo, di cui ho letto sul blog newclear.

Si tratta di un documento presentato annualmente dall’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), che analizza l’andamento incrementale dell’energia elettrica generata dalle varie fonti. In particolare, nel periodo che va dal 2000 al 2008, carbone e gas sono cresciuti molto di più rispetto alla fonti rinnovabili e al nucleare.
Rispetto alle rinnovabili, il carbone è cresciuto due volte e mezza in più, il gas una e mezza. Dato che trova immediatamente riscontro se si osserva che dal 1997 al 2009 le fonti prive di emissioni di CO2 sono passate dal 36,9 al 33,9 % (dati IEA). Questo significa che, nell’era della sostenibilità, si continua a fare ricorso in maniera massiccia proprio alle fonti tradizionalmente più inquinanti.

Eppure, lo sviluppo delle rinnovabili è stato agevolato in questi anni da cospicui incentivi:sempre secondo il Rapporto le energie “alternative” hanno ottenuto sussidi per 50 miliardi di dollari e la loro sostenibilità, per l’Agenzia, comporta sussidi fino a 200 miliardi di dollari nel 2035.
Anche il nucleare ha continuato a crescere, seppure in modo meno evidente rispetto a gas e carbone.Il fatto che in una fase in cui il tema ambiente è tornato in primo piano si continui a puntare soprattutto sulle fonti più “dannose” va tenuto in considerazione. Bisognerebbe iniziare un’inversione di tendenza a favore di altre risorse meno inquinanti.
Considerando l’enorme dispendio di denaro legato alle rinnovabili, la soluzione migliore sarebbe proprio il nucleare:ha emissioni di CO2 pari quasi a zero, oltre a essere sicuro e soprattutto meno costoso. Cosa stiamo aspettando, allora?

mercoledì 17 novembre 2010

Epr: le modifiche apportate soddisfano le autorità inglesi

L'autorità regolatoria britannica Health and Safety Executive (HSE) si è detta soddisfatta delle modifiche apportate al progetto del reattore Epr dalle società francesi Areva e EdF: tutte le questioni principali sono state risolte. L'HSE aveva espresso in un primo tempo quattro riserve sulla strumentazione, ma ora ha ritenuto che siano stati fatti i ritocchi necessari.

«Grazie al lavoro di alta qualità della nostra squadra abbiamo raggiunto un'altra tappa decisiva per la strumentazione di nuova generazione, dopo che la sua architettura era stata approvata in Finlandia in primavera», ha commentato Philippe Knoche, vicepresidente esecutivo del settore Reactors and Services Business Group dell'Areva, che ha concluso: «Questo è anche un chiaro riconoscimento della qualità del progetto del reattore Epr».

Rimangono ora alcune modifiche da apportare, ma di minore importanza: le richieste della HSE sono state declassate da "questione regolatoria" alla categoria inferiore di "osservazione regolatoria", che non ostacola necessariamente l'accettazione del progetto.

Un comunicato dell'Areva ha affermato: «La valutazione del progetto Epr va avanti, ma non c'è più alcun blocco che possa impedire di terminare il processo in modo positivo. Come parte del dialogo costante fra operatori, costruttori e autorità di sicurezza britanniche, l'Areva continuerà a fornire i suoi contributi di alta qualità e nel rispetto dei tempi, in modo da rispettare la scadenza del giugno 2011 che l'HSE ha posto per completare la valutazione del progetto».

Da NuclearNews

martedì 16 novembre 2010

Margherita Hack: “L’Italia ha bisogno del nucleare”



È probabilmente l’astrofisica italiana più conosciuta ed è nota anche per essere spesso intervenuta su temi civili e politici: stiamo parlando di Margherita Hack, di cui poco tempo fa ho trovato quest’intervista in rete.
Nell’intervento la scienziata parla a tutto tondo del nucleare e sottolinea l’importanza dell’energia atomica per il nostro Paese. La Hack, si sa, non è certo filogovernativa, per cui il suo punto di vista è prettamente scientifico: dobbiamo tornare al nucleare perché ne abbiamo bisogno. Il suo messaggio è semplice e diretto.
Il nucleare, per la scienzata, è vantaggioso per diverse ragioni, innanzitutto la sicurezza: le centrali, afferma la Hack, non sono più quelle di una volta. Gran parte dell’opinione pubblica è rimasta legata a Chernobyl nella sua concezione dell’energia atomica, dimenticando che nel frattempo gli studi e la tecnologia sono andati avanti. Gli impianti sono più sicuri (addirittura in quelli a tecnolgia Epr i sistemi di sicurezza sono quadruplicati) e le scorie prodotte minime. A proposito di rifiuti radioattivi, la Hack aveva lanciato in passato la proposta di lanciarle nello spazio, suscitando non poche reazioni.

Dalla sicurezza il discorso si sposta alla questione energetica: l’Italia deve necessariamente produrre energia in casa perché è troppo dipendente dall’estero. Per comprendere l’importanza di questo problema bisogna iniziare ad analizzarlo senza filtri “ideologici”: il nucleare, spiega l’astrofisica, “non è né di destra né di sinistra”.

lunedì 15 novembre 2010

Il nucleare e la questione sicurezza

Quando si parla di centrali nucleari uno dei temi tabù per l’opinione pubblica è sicuramente quello della sicurezza. A distanza di più di 20 anni, infatti, gli italiani sentono ancora l’eco di Chernobyl e vivono con preoccupazione il problema della radioattività.

Innanzitutto c’è da dire che siamo esposti quotidianamente a radiazioni (radiazioni cosmiche e terrestri): addirittura la radioattività naturale in Italia è tre volte maggiore rispetto a quella artificiale, con una dose media annua di 3,3 mSv (milli-sievert) contro 1,1 mSv. Associare la radioattività esclusivamente al nucleare è, quindi, già un primo errore.

Quanto alla sicurezza, basta dare un’occhiata alle best pratices adottate dagli altri Paesi per capire come sul tema siano stati fatti tanti passi in avanti. Iniziamo dalla Francia: il paese d’oltralpe, che ricava dal nucleare il 70% della propria elettricità, ha adottato insieme a Edf un protocollo sulla prevenzione dei rischi nelle centrali atomiche. Già la stessa struttura degli impianti, divisi in tre sezioni separate che fungono da barriere, garantisce elevati standard di sicurezza.

Spostandoci oltreoceano, è degli Stati Uniti (primo produttore mondiale di energia nucleare) l’ultimo dispositivo in materia di sicurezza. È stato ideato un robot con il compito di controllare gli impianti e di trasmettere immagini real time agli operatori, permettendo, così, di individuare intrusi, anomalie o attività sospette. Anche il Giappone non è da meno quanto a innovazioni:gli impianti presenti nel Paese sono praticamente antisismici, progettati, cioè, per sopravvivere ai frequenti terremoti che colpiscono le sue isole. Inoltre la Nuclear Safety Commission nipponica ha dato vita a un programma di riciclaggio del combustibile nucleare, che consente di utilizzarlo per un doppio ciclo. Non si può non commentare positivamente tutte queste iniziative. All’Italia, dunque, non resta altro che prendere spunto.

venerdì 12 novembre 2010

Gross: Il nucleare è la scelta migliore per l’Italia

Il nucleare è la fonte di energia “più sicura e meno costosa”, per questo è fondamentale che l’Italia vada avanti nel suo programma di ritorno all’atomo. Ad affermarlo è David Gross, ospite qualche giorno fa della cerimonia per i 45 anni del Centro internazionale di fisica teorica (Ictp) Abdus Salam di Trieste. Per chi non lo sapesse, Gross ha vinto il premio Nobel per la fisica nel 2004, insieme a David Politzer e Frank Wilczeck. È, quindi, un grandissimo esperto del settore.

Il Nobel ha parlato della questione sicurezza: bisogna cercare di sconfiggere le paure dominanti, sia sui rischi delle centrali, ormai praticamente ridotti a zero, sia sulla delicata questione dei rifuti radioattivi (su cui, tra l’altro, l’Unione Europea si è pronunciata di recente ).
L’investimento sul nucleare sarebbe, poi, vantaggioso, anche per il discorso costi: Gross ha ribadito che l’energia atomica rappresenta la forma di energia meno costosa. Con un ritorno positivo non solo per le nostre tasche ma anche per la sostenibilità ambientale: si pensi al numero limitato di emissioni di CO2 dell’energia nucleare, che permette di assimilarla alle rinnovabili come forma di energia “pulita”.

Non c’è dubbio, quindi, che il nucleare possa essere un’ottima soluzione per la dipendenza dall’estero del nostro Paese, che ha bisogno di fonti pulite e in generale di una maggiore efficienza energetica. Per Gross è la scelta migliore che l’Italia possa fare. “Il nucleare – ha affermato – è sostanzialmente una questione di tecnologia e sicurezza, che sono state migliorate negli ultimi decenni”. E in questo il nostro Paese non ha nulla da invidiare a nessuno. Parola di Nobel.

giovedì 11 novembre 2010

Intervista a Umberto Veronesi



Negli ultimi tempi è stato al centro dell’attenzione più per il suo appoggio al nucleare che per le sue indiscusse competenze in campo medico: stiamo parlando di Umberto Veronesi, neopresidente dell’Agenzia per la sicurezza nucleare.
Che le si condivida o no, da anni l’oncologo esprime con decisione le sue idee sull’energia atomica, cercando di spiegarne i vantaggi anche a chi non è, come lui, “uomo di scienza”. Come in questa intervista, che ho trovato qualche giorno fa: Veronesi si sofferma su alcuni aspetti “cruciali” del nucleare, tra cui le tanto temute scorie. Il presidente dell'Agenzia spiega che i rifiuti radioattivi, se opportunamente riprocessati, si riducono notevolmente. E, c’è da aggiungere, con le nuove centrali è minore anche il numero di residui ad alta attività, cioè quelli più potenzialmente pericolosi. È fondamentale, poi, collocare i rifiuti radioattivi in zone sicure e refrigerate (scelta che l’Unione Europea ha proprio adottato di recente).
L’intervista tocca anche un tema caro a Veronesi: le applicazioni del nucleare in campo medico. Innanzitutto, spiega, gli isotopi radioattivi sono già comunemente utilizzati per l’identificazione dei tumori e il nucleare in genere può avere diversi utilizzi a scopo terapeutico.
Di sicuro, per l’oncologo, l’Italia sarà ampiamente in grado di portare avanti le ricerche sull’atomo: dalla nostra parte c’è una scuola di prim’ordine, che ci ha fatto conoscere e apprezzare in tutto il mondo.

mercoledì 10 novembre 2010

Studio Fondazione Impresa: ecco le regioni più “green”

Negli ultimi anni si sente parlare sempre più spesso di rivoluzione verde nell’economia. In una fase in cui la questione energetica e ambientale sono tornate d’attualità, Fondazione Impresa ha dato vita a uno studio che fotografa proprio lo stato dell’arte delle nostre regioni sulla cosiddetta green economy.Secondo lo studio le regioni più “green” d’Italia sono Trentino Alto-Adige, Toscana e Basilicata, seguite da Calabria, Val d’Aosta e Veneto.

La classifica è stata ottenuta sulla base del valore dell’IGE (Indice di Green Economy), calcolato a partire da nove indicatori: energia elettrica ottenuta da fonti rinnovabili, energia elettrica ricavata da fonti idriche, energia elettrica derivante da fonti non idriche, quota di rifiuti solidi urbani che viene differenziata, frazione organica della raccolta differenziata, quota di rifiuti solidi urbani destinati a discarica, numero totale di operatori nel biologico ogni 100mila abitanti, incidenza delle coltivazioni destinate al biologico sul totale della superficie agricola utilizzata, efficienza energetica.

In particolare, per quanto riguarda la produzione energetica, l’associazione ha calcolato anche l’incidenza nelle regioni della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (distinguendo tra fonti idriche, eoliche, fotovoltaiche, geotermiche e biomasse). Le regioni con il mix migliore sono Sardegna, Molise e Basilicata. In riferimento alle singole tipologie di rinnovabili, le fonti idriche sono presenti soprattutto al Nord, mentre quelle eoliche e le biomasse prevalgono soprattutto al Centro e nel Sud; fotovoltaico e geotermico sono, invece, ancora poco diffusi.

Dallo studio si vede chiaramente innanzitutto che la mappa della green economy tocca Nord e Sud senza distinzioni. Le stesse rinnovabili, poi, seppur in modo non omogeneo, sono ormai presenti in tutta la penisola. Dimostrazione che la consapevolezza per il rispetto dell’ambiente è presente ovunque, così come la tendenza a orientarsi verso fonti energetiche più “pulite” rispetto a quelle tradizionali. La strada verso un mix energetico “eco-friendly” sembra ormai avviata.

martedì 9 novembre 2010

Una comunicazione chiara per avvicinare i cittadini al nucleare

Che la comunicazione sia fondamentale per far conoscere e accettare il nucleare è certo. Il problema è come far arrivare tutte queste informazioni alla gente, che spesso non è pratica di termini tecnici e di questione energetica.

Leggevo, però su Nuclear News che in Francia e Svezia sembrano esserci riusciti benissimo. Come? Attraverso un approccio partecipato, che coinvolge direttamente i cittadini nella comprensione dell’argomento. A spiegare i dettagli due personalità che da tempo hanno a che fare con il nucleare: Claude Gatignol, deputato al Parlamento francese ed esperto di comunicazione sul nucleare, e Saida Lâarouchi Engström, direttore Informazione pubblica e valutazione impatto ambientale della SKB, la società svedese per il combustibile nucleare e la gestione delle scorie.

Gatignol è stato testimone dell’esperienza di Flamanville, dove è in costruzione il primo reattore francese Epr, lo stesso tipo di tecnologia che sarà realizzato in Italia: per combattere la forte diffidenza della popolazione sono stati organizzati degli incontri, in cui si cercava di spiegarne rischi e vantaggi. Obiettivo era ottenere la fiducia dei cittadini facendo totale chiarezza sul tema. Un metodo simile è stato adottato in Svezia, con dibattiti pubblici per favorire un approccio “più improntato ad ascoltare i cittadini e le loro esigenze che a spiegare le questioni in modo didattico”, come spiega la Engström. Metodo che sembra aver avuto i suoi effetti: gli svedesi nel 1980 avevano votato contro il nucleare con un referendum. Ora, invece, complici anche per le bassissime emissioni di gas serra prodotte dall'industria nucleare, i pareri sono cambiati, come dimostra anche la “battaglia” tra due città per ospitare un deposito di rifiuti radioattivi.

Il segreto, dunque, sta nell’essere più chiari e sinceri possibile, per permettere a chiunque di farsi un’opinione basata su dati concreti e libera da pregiudizi. L’energia nucleare, spiega la Engström “è una tecnologia, non una religione”, per cui va spiegata e non accettata o rifiutata a priori. Forse anche la nostra informazione dovrebbe seguire questa strada. Potrebbe essere un ottimo tentativo per iniziare a sconfiggere la diffidenza che spesso si percepisce quando si pronuncia la parola “nucleare”.

lunedì 8 novembre 2010

Beppe Grillo e la (dis) informazione sul nucleare




Beppe Grillo è diventato ormai un “eroe” della comunicazione: il suo blog è seguito e commentato da milioni di utenti, per non parlare delle tantissime persone che affollano i palasport per assistere ai suoi spettacoli.

Non sempre, però, tutto quello che dice è vero, come dimostra questo video “illuminante” che ho trovato in rete: in uno dei suoi spettacoli il comico parla di nucleare.

E puntualmente buona parte delle sue affermazioni è smentita da fonti che affermano esattamente il contrario. Qualche esempio: Grillo sostiene che costruire una centrale non conviene, perché si dovrebbe “smontare” dopo 15 anni. Notizia falsa, perché gli impianti, progettati per 40 anni, possono tranquillamente restare in funzione fino a 60.
Ogni centrale, poi, secondo il comico, ha bisogno di averne vicina una a carbone, per poter estrarre il plutonio dall’uranio: informazione che si smentisce semplicemente osservando la collocazione degli attuali impianti nucleari.

Ma Grillo supera se stesso quando afferma che noi “compriamo e vendiamo energia”, per cui non abbiamo bisogno di altre fonti: in realtà non è così, dato che la acquistiamo e basta. Il nostro deficit energetico dovrebbe insegnare qualcosa.
Non voglio togliervi la curiosità, per cui la chiudo qui. Siete scettici? Pensate che non sia possibile fare delle affermazioni simili? Guardare per credere.

venerdì 5 novembre 2010

Conflitti di interesse “ecologici”

Con l’annuncio del ritorno al nucleare dell’Italia sono ricominciate puntualmente polemiche e proteste di vario genere. Scene già viste in tanti altri casi, dalla questione del surriscaldamento globale all’emergenza rifiuti.

Documentandomi in rete, ho letto da più parti che spesso tutte queste battaglie non sono poi così “limpide” e disinteressate come si vuole far credere: in alcuni casi i protagonisti, come si dice, “predicano bene e razzolano male”. Mi spiego: poco tempo fa ho trovato un articolo, corredato da link e fonti, che parlava proprio degli “affari” della principale associazione ambientalista di casa nostra, Legambiente.

Mi limito a citare qualche esempio: in passato l’associazione ha protestato contro la centrale Turbogas a Pontinia, ma “stranamente” non contro quella di Modugno (Puglia), che doveva essere costruita da Sorgenia (operatore privato dei settori energia elettrica e gas). Un comportamento quantomeno poco coerente, dato che si tratta di impianti dello stesso tipo. Ebbene, proprio Legambiente possiede il 10% delle azioni di questa società. Dimostrazione di come, nel caso della struttura pugliese, l’associazione che si batte per la tutela dell’ambiente abbia evidentemente in gioco interessi di altra natura.

Non finisce qui: Legambiente e Sorgenia fanno parte entrambe del Kyoto Club, no-profit che, insieme all’associazione ambientalista e ad Ambiente Italia, è comproprietaria della società srl Azzero CO2. Una delle attività di questa società è la compravendita di C.a.r.b.o.n. C.r.e.d.i.t. , certificati di credito di emissioni di CO2: si tratta di un sistema ideato per “compensare” le emissioni di CO2 prodotte dalle nostre attività. In parole povere, ciascuno di noi può pagare dei “credit” di valore variabile in base alla quantità di CO2 generata. Soldi che vanno a finanziare progetti, soprattutto in paesi in via di sviluppo, che dovranno assorbire tanta anidride carbonica quanta ne è stata emessa in più. Che significa tutto questo discorso? Che da un lato Legambiente lotta per la riduzione delle emissioni di CO2, dall’altro è direttamente coinvolta in questa compravendita: un conflitto d’interessi “ecologico”, si può definire.
Ma se a muovere le battaglie di Legambiente sembra esserci qualche interesse economico, si potrebbe sollevare qualche dubbio anche sul fatto che l’associazione sia completamente “apartitica”, così come si legge sul suo sito. Scorrendo l’elenco dei presidenti, è difficile trovare qualcuno che non abbia avuto a che fare con la politica. Si può ancora affermare con certezza che i partiti siano totalmente estranei all’associazione?

Ognuno è libero di pensarla come vuole, ma, a mio parere, prima di sposare una causa e fare una protesta, bisognerebbe conoscerne bene le ragioni e le logiche che sono alla base.
Anche quando una battaglia sembra completamente disinteressata e animata dai più nobili ideali.

giovedì 4 novembre 2010

L’Unione europea detta le regole per la gestione dei rifiuti radioattivi

La Commissione Europea ha diffuso ieri la proposta di direttiva sulla gestione dei rifiuti radioattivi prodotti dalle centrali nucleari e nell’ambito della medicina e della ricerca. Il provvedimento prevede che entro il 2015 gli Stati membri dell’Ue comunichino i programmi relativi alla costruzione dei siti per lo stoccaggio dei residui nucleari alla Commissione, che può anche modificarli se lo ritiene opportuno. Le licenze per la costruzione dei depositi dovranno essere concesse da autorità indipendenti con il compito di verificare il rispetto delle norme di sicurezza fissate dall’Aiea (Agenzia internazionale dell’energia atomica), che diventeranno giuridicamente vincolanti.

Sulla realizzazione dei siti ci sono delle indicazioni ben precise:
innanzitutto i rifiuti dovranno essere stoccati all’interno del territorio comunitario, per cui non sarà più concesso l’export verso paesi terzi, a basso costo ma con standard di sicurezza non ottimali.
I depositi non potranno trovarsi a meno di 300 metri di profondità, variabili secondo le condizioni geologiche locali, e potranno essere utilizzati anche da più Stati di comune accordo.

La scelta dell’Unione Europea sembra premiare la sicurezza, come dimostra la decisione di localizzare le scorie in profondità: i siti attualmente esistenti sono tutti provvisori e presentano delle caratteristiche che non li rendono particolarmente affidabili. Questo genere di depositi, infatti, è fondamentale per ridurre la temperatura degli elementi combustibili e diminuire l’intensità delle radiazioni, ma, oltre ad avere bisogno di manutenzione e sorveglianza continue, è esposto al rischio di incidenti, disastri aerei e terremoti. Va detto, poi, che a più di 50 anni dall’entrata in funzione del primo reattore nucleare, attualmente non ci sono ancora in Europa depositi definitivi. La realizzazione dei siti sarà preceduta da una campagna di informazione destinata ai cittadini, per coinvolgere l’opinione pubblica in tutto il processo decisionale relativo alla gestione dei residui nucleari.

Risolvere la questione “scorie” è, quindi, indispensabile, non solo perché oggi nell’Unione Europea ci sono 143 centrali nucleari, che producono 50mila metri cubi di rifiuti radioattivi, tutti in depositi provvisori, ma anche perché il problema continua ad essere particolarmente sentito, come insegna il tanto diffuso effetto Nimby. Adesso bisognerà attendere i piani dei governi europei.

mercoledì 3 novembre 2010

Al via il road show informativo sull’atomo

Il dibattito sul nucleare entra nelle università italiane: è partito la scorsa settimana il road show informativo sul tema del ritorno all’energia atomica, organizzato da Enel ed Edf in collaborazione con i principali atenei del nostro Paese. Il progetto, dal titolo “L’energia nucleare accende la ricerca”, andrà avanti fino a maggio 2011 e comprende dieci tappe: la prima è stata Genova, le prossime saranno Palermo e Torino. Argomenti principali del road show genovese sono stati medicina e tecnologia in ambito nucleare. Obiettivo dell’evento è promuovere nel mondo accademico una nuova cultura del nucleare, evidenziandone le opportunità sia in termini di incremento della ricerca che in genere occupazionali.

Gli studi sull’atomo, pur con fortune alterne, in realtà non si sono mai interrotti: in Italia oggi gli studenti e i dottorandi che completano il loro ciclo di studi sui temi nucleari sono circa 80-100 l’anno e finora la maggior parte di loro è stata successivamente impiegata all’estero. I docenti e i ricercatori dei tre settori scientifici caratteristici legati all’energia atomica (fisica del reattore nucleare, impianti nucleari, strumentazioni e misure nucleari) sono, invece, circa 70. I corsi di laurea in ingegneria nucleare, o in ingegneria energetica con percorsi di formazione sul nucleare sono presenti in diversi atenei, dal Politecnico di Milano e di Torino all’Università di Pisa, dall’università di Padova alla Sapienza di Roma, fino alle Università di Palermo, Bologna e Pavia.

Nella stessa Genova è attivo dal 2009 il Master di II livello in "Scienze e Tecnologie degli impianti nucleari".Tuttavia non c’è dubbio che il ritorno all’atomo renda ancora più necessario rispetto al passato formare nuove figure da impiegare in diversi campi: non solo ingegneri nucleari, ma anche economisti, giuristi, tecnici specializzati, periti, sociologi…

L’iniziativa, a mio avviso, raggiunge due obiettivi important: innanzitutto fornire un quadro completo delle tante possibilità occupazionali legate al nucleare, ma anche contribuire a parlare correttamente di energia atomica, in una fase in cui spesso e volentieri se ne parla in maniera sbagliata.

martedì 2 novembre 2010

Beppe Grillo e le sue inchieste: occhio alle “bufale”


Leggevo in rete un’intervista del giornalista Paolo Attivissimo a Stefano Montanari, ricercatore modenese, autore di uno studio diffuso qualche anno fa da Beppe Grillo. Il comico genovese, si sa, è diventato celebre proprio grazie all’“irruenza” dei suoi interventi e alle sue inchieste. Non sempre, c’è da aggiungere, basate su presupposti completamente verificabili. Come in questo caso: la ricerca affermava che, all’interno di alcuni prodotti alimentari, erano state trovate particelle di metalli pesanti, altamente cancerogene, provenienti dal fumo dei termovalorizzatori. Lo studio era accompagnato anche da una lista dei prodotti “incriminati” e delle relative marche.

Ebbene, dall’intervista si comprende chiaramente come Grillo abbia ignorato o presentato in maniera distorta alcuni aspetti dello studio, tutt’altro che secondari. Una prima osservazione riguarda la metodologia della ricerca: sono stati analizzati singoli lotti di prodotti diversi, senza considerare più quantità dello stesso prodotto. Ora, pur non essendo un esperto di studi scientifici, mi sembra un po’ difficile arrivare a delle conclusioni generali sulla base di un singolo campione esaminato.

Nel diffondere la ricerca, poi, Grillo ha dato alcune informazioni, prontamente smentite da Montanari: innanzitutto i due ricercatori non hanno mai segnalato nessuna azienda, ma solo denunciato la presenza di prodotti “inquinati”, così c'è mai stata nessuna lettera indirizzata alle ditte interessate, al contrario di quanto detto dal comico.Lo studioso ha, inoltre, precisato che queste polveri non arrivano solo dai termovalorizzatori, ma anche da traffico, cementifici, fonderie, mentre Grillo aveva utilizzato la ricerca a sostegno della sua battaglia contro gli inceneritori.

Insomma, il comico è stato senz’altro utile per informare sull’esistenza dello studio, ma poi tante notizie non sono state diffuse nel modo più corretto e “scientifico” possibile. A spiegarlo è lo stesso Montanari: “Allora guardi, per noi Beppe Grillo è stato essenziale, perché io ero assolutamente sconosciuto, ma questo non aveva nessuna importanza, il problema è che era sconosciuto il problema, cioè nessuno sapeva che noi facevamo queste ricerche… Quindi Beppe Grillo per noi è stato essenziale, nel senso che ci ha fatto conoscere, poi diciamo che, se qualcuno da Beppe Grillo si aspetta delle informazioni scientifiche, beh, forse ha sbagliato fonte: Beppe Grillo è un comico che riempie i palasport però, ecco, al limite può suscitare l'interesse, però poi chi è veramente interessato bisogna che si rivolga ad altre fonti, perché Beppe Grillo non può essere una fonte di informazione scientifica, non può avere le caratteristiche di questo, però diciamo che per noi è stato molto utile, perché ci ha fatto conoscere. Poi l'informazione è uscita come è uscita, però, insomma adesso cerchiamo di mettere una pezza alle informazioni distorte”.

Sarebbe opportuno, insomma, che i fan di Beppe Grillo andassero a verificare le sue notizie, prima di gridare allo “scandalo”. Soprattutto quando si parla di questioni “delicate”, che si tratti di termovalorizzatori così come di nucleare, tema di cui il comico ha ripreso a parlare di recente.