lunedì 2 agosto 2010

Proprio sicuri che l'energia solare costi meno del nucleare?

Sì, se si ricorre ad assunti irrealistici e trucchi contabili
di Carlo Stagnaro e Daren Bakst

Il solare costa meno del nucleare, quindi niente atomo, solo sole. Lo dice uno studio realizzato dagli economisti John Blackburn e Sam Cunningham, per conto dell'organizzazione ambientalista del North Carolina NC Warn. Il paper ha fatto rapidamente il giro del mondo: grazie prima al lancio del New York Times, poi all'attenzione dei maggiori quotidiani, anche nel nostro paese; e forse anche grazie alla penuria estiva di notizie. Nessun dubbio, del resto, che ne escano numeri sensazionali. Ma sono numeri convincenti?

Secondo gli autori, l'energia solare ha un costo medio di generazione di 15,9 centesimi di dollaro al kilowattora (in discesa), contro i 17 centesimi del nucleare (in salita) e un prezzo di mercato di circa 8 centesimi (nel 2008 in North Carolina, stato americano a cui lo studio si riferisce). Dietro questi dati ci sono una serie di ipotesi che tendono a sottostimare il costo del solare: per esempio, i due economisti assumono che i pannelli producano energia per quasi 1.600 ore l'anno, contro le circa 1.400 ore effettivamente registrate in North Carolina. Anche prendendo tutto per buono, si ottiene un risultato diverso: cioè 35 centesimi. Per scendere fino a 15,9 centesimi - cioè far apparire competitivo ciò che non lo è - ci vuole un trucco, immediatamente smascherato, ieri, in una nota dell'Associazione italiana nucleare: basta includere il credito fiscale federale e quello dello stato del North Carolina, rispettivamente del 30 e del 35 per cento. Con questo sussidio il costo unitario dell'investimento precipita da 6.000 a 2.730 dollari/kilowatt. Equasi triviale dire che, con la stessa logica, con una detassazione del 100 per cento, l'energia potrebbe sgorgare gratis... Ovviamente, così non è: semplicemente, anziché pagare i consumatori in proporzione a quanto consumano, lo farebbero i contribuenti in proporzione a quanto dichiarano. Cambiando l'ordine degli addendi, possono intervenire considerazioni di efficienza allocativa (che sconsigliano il ricorso alla leva fiscale, peraltro), ma non muta il risultato: il solare è ancora maledettamente costoso.

Un discorso uguale e contrario vale per il nucleare. Blackburn e Cunningham si affidano a una sola fonte, che pure fornisce stime largamente inferiori ai 35 centesimi. Il bello è che, applicando la stessa formula al nucleare, pur facendo una serie di ipotesi peggiorative e aggiungendo i costi del personale e della gestione degli impianti (ignorati per il solare), si arriva attorno ai 15 centesimi: cioè al di sotto sia del costo "vero" del solare, sia addirittura del suo costo "sussidiato". Tutto ciò senza neppure considerare i costi di rete. Come la leggendaria formichina, Blackburn e Cunningham si concentrano sulla foglia, e perdono di vista la foresta. A leggere il loro paper, infatti, pare che le utility del North Carolina - e, implicitamente, tutte le altre - abbiano una scelta secca: nucleare oppure solare. Non è così. La competizione non è mai tra una singola fonte e l'altra, ma tra un portafoglio di generazione e l'altro. Soddisfare la domanda elettrica di una società moderna richiede di sfruttare tutte le fonti disponibili, nella misura e per gli scopi in cui sono relativamente più convenienti. Il futuro non è, quindi, sole oppure atomo. L'unica cosa che sappiamo del futuro è che ci saranno sia i pannelli fotovoltaici, sia gli impianti nucleari: e pure il carbone, il gas, l'idroelettrico, eccetera. Beato quel mondo che non ha bisogno di tecnologie eroiche, ma usa razionalmente quel che l'ingegno umano ha creato, nell'attesa delle prossime, e migliori, invenzioni.

* Carlo Stagnaro, Istituto Bruno Leoni Daren Bakst, John Locke Foundation

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