martedì 26 gennaio 2010

Germania: il governo decide di tornare al nucleare

Sottovoce, la Germania riabilita il nucleare. La prima potenza europea, il paese che era stato anche il primo tra i big del Vecchio continente a decidere l'addio all'uso civile dell'energia atomica, ci ripensa.
E non il solo. Oltre alla decisione di Germania, Belgio e Spagna di allungare la vita delle centrali, paesi come Cina, Russia, India, Svezia, Emirati Arabi, Svizzera e Finlandia (oltre all’Italia) hanno in programma la costruzione di centrali nucleari. Perché è l'unica tecnologia in grado di contrastare efficacemente e su larga scala il cambiamento climatico e perché, a parità di investimento, fa risparmiare 10 volte più CO2 del solare e più del doppio dell'eolico, occupando un centesimo del territorio. Perché attualmente le energie rinnovabili non sono in grado di soddisfare il fabbisogno energetico.

Ma torniamo alla Germania: dopo negoziati con i produttori di energia, il governo Merkel ha deciso - scrive oggi l'autorevole quotidiano conservatore Die Welt - che per il momento tutti i 17 reattori nucleari resteranno in esercizio.

E' una sconfitta decisiva per gli avversari dell'uso civile dell'energia nucleare, e una vittoria sia per i grossi produttori di energia in Germania (Eon, Rwe, Vattenfall, EnBW) sia per i colossi industriali, Siemens prima fra tutti, che nella produzione, fornitura ed esportazione di centrali nucleari della nuova generazione hanno un punto di forza della loro strategia di global player.

Per l'esecutivo di Berlino l'energia nucleare resta una 'soluzione-ponte'. Ma il ponte si allunga nel tempo a venire, in sostanza: è necessario molto più tempo di uso dei 17 reattori in esercizio, finché le energie rinnovabili ed ecologiche non saranno in grado di fornire significativamente più del 20 per cento del fabbisogno energetico nazionale. "In Germania", scrive il commento di Die Welt, "abbiamo posto limiti massimi d'uso di un reattore nucleare a 35 anni, negli Usa e in Svezia li usano per 60 anni".


Fonte: La Repubblica – 26 gennaio

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