lunedì 7 febbraio 2011

Il nucleare spiegato agli italiani

Di seguito un'intervista a Giancarlo Aquilanti, responsabile Area tecnica nucleare di Enel, sui motivi e le necessità di rintrodurre il nucleare in Italia.

Pensa che passare al nucleare potrebbe soddisfare il nostro bisogno energetico tanto da renderci indipendenti?
Il nucleare non darà il 100% della produzione. Non c'è nessun paese in grado di farlo, la Francia, ad esempio, sta circa al 70%. Quindi possiamo dire in generale che in Europa ci sia un mix di generazioni in cui il nucleare occupa uno spazio che va dal 15% fino al 70% della Francia. Oggi l'Italia è a zero e quello a cui dovrebbe aspirare in qualche modo è arrivare ad una percentuale di circa il 25% così da poter bilanciare la generazione nucleare con quella di altre fonti.

Il costo dello smaltimento delle scorie inciderà sui cittadini? Chi se ne occuperà?
Il costo dello smaltimento delle scorie è già incluso nello smaltimento di costo del nucleare perché uno dei criteri, previsto anche dalla legge attuale è che durante l'esercizio dell'impianto si accumula un fondo che non viene gestito dalla società, ma da una struttura pubblica che poi alla fine dell'esercizio dell'impianto avrà fondi sufficienti per lo smantellamento dell'impianto e la gestione finale anche dei rifiuti radioattivi. Questi costi dunque non influiranno sul pubblico non li pagheremo cioè in bolletta ma sarà l'ente elettrico stesso che accantonerà i fondi per poter fare questo tipo di operazioni.

Prima di procedere all'impianto di nuove centrali saranno smaltite le scorie ancora presenti sul nostro territorio?
Sono due attività che vanno in parallelo, da una parte c'è il trattamento di quello che è rimasto cioè del materiale vecchio dell'87 e dall'altra la costruzione di nuovi impianti. Sono due discorsi che non possono esser messi sequenzialmente, il problema del mix sbilanciato è un problema di oggi, quello del decommissioning richiede a tutti quanti i Paesi un certo periodo di tempo. Sono inoltre diverse anche le società impegnate in tali operazioni, noi ci candidiamo ad essere uno degli investitori sul nucleare, Sogin è quella che si occupa di fatto dello smantellamento degli impianti e del deposito finale per quanto riguarda il combustibile.

Saranno italiani a occuparsi della realizzazione degli impianti o saranno manovalanze e cervelli stranieri?
Ci saranno diversi settori, quelle 3000 persone impegnate direttamente nella realizzazione delle centrali, più le altre 6000 coinvolte indirettamente nel nucleare saranno ripartite su diverse fasce, ci sarà quella degli operai in cantiere, quella che riguarda gli operai nelle fabbriche, quella del controllo del progetto e così via. Ci sarà quindi una gradazione che andrà dall'operaio fino al manager. Per quanto riguarda la manodopera speriamo e prevediamo che possa essere locale così come per le mansioni via via più alte. In Italia il tipo di disponibilità che abbiamo sia come risorse specializzate sia come manovalanza dovrebbe essere tale per cui noi, di fatto, facciamo fronte con tutto personale nazionale, per quanto possibile. Ovviamente qualora ci fosse indisponibilità di specializzazione, si potrebbe avere un completamento all'estero.

A che punto è in Italia la ricerca sul nucleare?
Oggi la ricerca sul nucleare è ovviamente ridotta perché, di fatto, è finanziata per una parte abbastanza modesta dallo Stato e dall'altra da fondi modesti da parte dell'Unione europea, però nonostante i finanziamenti scarsi l'Italia è riuscita a mantenere tutta una serie di poli di eccellenza della ricerca che vengono molto apprezzati anche a livello europeo. Cito l’Enea, alcuni istituti di ricerca, l'industria e cito ancora naturalmente alcuni centri universitari che hanno sviluppato competenze di nicchia nel nucleare anche a livello internazionale, quindi la base c'è. Non partiamo da zero, chiaramente va sviluppata.
Cosa che d'altronde farete anche con i progetti con il Politecnico, con le borse di studio e con il master. Tutte queste iniziative hanno la funzione di attrarre giovani verso questo tipo di settore, la ricerca ha la funzione di sviluppare competenze dentro l'Università.


Non vi spaventano i problemi riscontrati durante la costruzione della centrale finlandese?
No, non ci spaventano, stiamo attentamente monitorando il cantiere, oltre ad aver mandato un certo numero di persone a osservare il progetto francese. Vogliamo imparare cosa lì non è stato fatto bene, questa esperienza può essere vissuta come fonte di paura e spingerci a ritirarci o come occasione per capire cosa deve esser fatto per migliorarci. Oltre al cantiere finlandese e a uno francese c'è un cantiere cinese che sta facendo lo stesso tipo di impianto, sono partiti dopo e siamo andati a vedere come loro se la stanno cavando con la stessa tecnologia. Se la stanno cavando in maniera eccezionale, hanno messo a frutto quello che in qualche modo è venuto fuori dalle cose da migliorare nell'impianto finlandese. Abbiamo visto, per esempio, che i ritardi non ci sono più, mentre in Finlandia c'era un ritardo di due o tre anni, loro seguono perfettamente il programma e hanno risolto inoltre i problemi di gestione dell'interfaccia dei diversi contractor. Tutto quello che si fa dunque è in qualche modo un bagaglio di esperienza che si acquisisce.

Cosa pensa degli Epr per quanto riguarda la sicurezza?
L' Epr è un impianto che oggi si colloca al massimo dal punto di vista della sicurezza. A livello internazionale è al top, è un impianto estremamente complesso, forse un po’ più costoso degli altri, ma è un prodotto sviluppato con requisiti di sicurezza molto elevati. Basti pensare che è progettato intorno ad un bunker che proteggerebbe tutto l'impianto da un eventuale impatto aereo.

Sembra che gli altri Paesi chiudano o tentino di farlo e noi...
No, non tutti i Paesi che dopo Cernobyl avevano deciso di rinunciare al nucleare lo hanno poi fatto e al contrario hanno riconsiderato la decisione, solo noi abbiamo chiuso subito.
La Germania e la Svezia che avevano deciso di chiudere gli impianti dopo un certo numero di anni, hanno esteso l'esercizio delle loro centrali e questa è una manifestazione di fiducia verso il nucleare. La Svizzera poi è in fase di approvazione di nuovi impianti. In Europa dunque la tendenza è a realizzare nuovi impianti o a mantenere in vita quelli già esistenti.


Fonte NovaSocietà

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